LetteraturaPrimo PianoGiulietta e Romeo: alle origini della vicenda dei due amanti della «bella Verona»

Lucia Cambria10 Agosto 2020
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«In fair Verona» – «nella bella Verona» – è la città in cui è ambientato uno dei drammi più amati di tutti i tempi. Gli «star-cross’d lovers» («amanti sfortunati») più famosi del mondo continuano con la loro triste storia a incantare i lettori e gli spettatori e sono per questo divenuti l’emblema del sentimento amoroso. Ma cosa giace alle origini di questa che viene definita dal suo titolo per esteso un’«eccellentissima e tristissima tragedia»?

Il nucleo originario del dramma affonda la proprie radici in epoca medievale, sebbene sia stato dimostrato come il topos in essa presente abbia origini ben più antiche. La leggenda che permette di eseguire un più diretto parallelismo è quella di Piramo e Tisbe, presente ne Le metamorfosi ovidiane. Come i due amanti veronesi, anche l’amore tra Piramo e Tisbe era osteggiato dalle due famiglie, tanto che i due erano costretti a comunicare dalla stretta fenditura di una parete. Decidono quindi di fuggire insieme e concordano un luogo nel quale incontrarsi. Tisbe arriva per prima e incontra una leonessa. Riesce a mettersi in salvo ma la bestia dilania e macchia di sangue il velo che la fanciulla ha perduto durante la sua fuga. Piramo, giunto nello stesso luogo, trova il velo sporco di sangue e, convinto che la sua amata sia stata uccisa, si suicida trafiggendosi con una spada. Tisbe sopraggiunge solo quando il suo amato è in fin di vita. Quando Piramo muore, Tisbe per il gran dolore si uccide allo stesso modo.

Le dinamiche di questa vicenda hanno delle chiare concordanze con la storia degli amanti della «fair Verona»: la rivalità tra le famiglie, il progetto della fuga, l’errata convinzione che l’amata sia morta e, infine, il suicidio. La modalità di uccisione descritta nel racconto ovidiano è quello che Shakespeare attribuirà a Giulietta, mentre Romeo si suiciderà bevendo del veleno: questo particolare ha dato adito ai critici di attribuire a Giulietta il ruolo più “mascolino” e – di conseguenza – più valoroso, dato che il pugnalarsi è visto come un atto più prettamente maschile.

Stando alle fonti storiche, nei primi anni del XIV secolo la rivalità tra le famiglie dai Montecchi e dei Capuleti era talmente acuta che persino Dante, che tra il 1303 e il 1304 si trovava presso gli Scaligeri (la Signoria che governava Verona), li nominò nella sua Commedia, nel VI Canto del Purgatorio:

 

Vieni a veder Montecchi e Cappelletti,
Monaldi e Filippeschi, uom sanza cura:
color già tristi, e questi con sospetti!

 

Una prima stesura della trama dell’opera si ebbe con la novella di Mariotto e Ganozza di Masuccio Salernitano, nel 1476, contenuta nella raccolta Novellino. Il sunto della vicenda, che si trova come prologo della novella, consente di trovare una serie di similitudini con il dramma shakespeariano:

 

Mariotto senese, innamorato di Ganozza, como ad omicida se fugge in Alessandria; Ganozza se funge morta, e da sepultura tolta, va a trovare l’amante; dal quale sentita la soa morte, per morire anco lui, retorna a Siena, e cognosciuto, è preso e tagliatogli la testa; la donna nol trova in Alessandria, retorna a Siena e trova l’amante decollato, e lei sopra ‘l suo corpo per dolore se more.

 

La novella del Salernitano ispirò la versione che invece assunse una forma più “moderna”, ovvero la Historia novellatamente ritrovata di due nobili amanti con la loro pietosa morte intervenuta già al tempo di Bartolomeo della Scala, di Luigi da Porto (scritta tra il 1512 e il 1524 ma pubblicata nel 1530). Da Porto racconta che conobbe questa storia grazie ai racconti di un arciere, durante i combattimenti in Friuli. L’arciere era di origini veronesi e gli narrò questa leggenda parecchio diffusa nella sua città. Lo scrittore dimorerà in questo periodo a Montorso Vicentino, poco distante da Montecchio Maggiore: dalle finestre del castello di Montorso appaiono le rocche di Montecchio. Si ipotizza quindi che la posizione contrapposta di questi due castelli – oggi denominati i Castelli di Romeo e Giulietta – abbia ispirato la stesura della novella.

Il racconto di Da Porto presto ebbe gran fama e venne ripresa in un poemetto in ottava rima di Gerdardo Boldiero e, nel 1554, da Matteo Bandello. Fu alla fine del XVI secolo, tra il 1594 e il 1596, che William Shakespeare compose il dramma che consente ancora oggi, ai visitatori che si trovano nella «bella Verona», di sentire quei versi aleggiare nell’aria:

 

For never was a story of more woe
Than this of Juliet and her Romeo.

Perché mai vi fu storia più dolorosa
Che questa di Giulietta e del suo Romeo.

Lucia Cambria

Siciliana, laureata in Lingue e letterature straniere e in Lingue moderne, letterature e traduzione. Particolare predilezione per la poesia romantica inglese e per la comparatistica. Traduttrice di prosa e versi, nel 2020 ha trasposto in italiano per Arbor Sapientiae il romanzo "L’ultimo uomo" di Mary Shelley.