Primo PianoTeatro e DanzaFortuna dell’arte teatrale italiana all’estero

Giada Oliva29 Giugno 2021
https://lacittaimmaginaria.com/wp-content/uploads/2021/06/hhh-1.jpg

In Italia, lo stigma sociale gli attori se lo portano dietro da tempo, fin da quando i comici della Commedia dell’Arte hanno dovuto lottare per la sopravvivenza e per la legittimazione della loro arte. Da sempre considerati dei reietti e abituati al nomadismo per impossibilità di prolungare le repliche in una stessa città, venne loro naturale emigrare oltralpe, tra il 1580 e il 1630, quando le corti italiane entrarono in crisi. All’estero trovarono prestigio e lauti guadagni tali da garantirsi una vecchiaia serena. A Parigi si costituì il Teatro stabile degli Italiani, direttamente sotto la protezione del Re, mentre in Germania numerosi principi furono entusiasti di accogliere questi attori esotici. Erano affascinati dalla presenza scenica, dall’abile tecnica improvvisativa, dall’attitudine al gioco e alla buffoneria. Per farsi comprendere da un pubblico straniero, infatti, i comici dell’arte accentuavano la gestualità, l’espressività mimica e prolungavano i momenti di danza e musica. Resi scaltri dalla giungla della piazza italiana, fu per i comici dell’arte semplice conquistare un pubblico ingenuo, abituato a una realtà teatrale meno evoluta. Geniali ed esuberanti, trovarono consacrazione nei dipinti fiamminghi laddove i pittori italiani li snobbavano, a riprova della scarsa considerazione in terra natia.

Degni eredi della tradizione della commedia dell’arte sono i grandi attori che nel 1800 con eguale intuizione, intelligenza e talento ammaliarono il pubblico di mezzo mondo, influenzandone lo sviluppo teatrale. L’intensità della loro recitazione ispirerà la rivoluzione teatrale di Konstantin Sergeevič Stanislavskij. Fra tutti spicca un’immensa Eleonora Duse, che infiammò le platee in Russia, negli Stati Uniti e nei paesi scandinavi; lunghe tournée che realizzò grazie alla sua abilità di capocomica e scaltra organizzatrice. Un mercato straniero rappresentava per lei la possibilità di mettere in scena testi inediti, non apprezzati in Italia. Aveva un repertorio variegato, che recitava rigorosamente in italiano: Carlo Goldoni, Henrik Ibsen, Luigi Pirandello. Ancora una volta furono l’uso di una mimica dettagliata, una febbrile presenza scenica e una vibrante vocalità a far breccia nel pubblico estero.

Nel 1925 ci fu il debutto a Berlino di Sei personaggi in cerca d’autore con la regia di Pirandello. Il pubblico tedesco rimase incantato dall’interpretazione così umana degli attori italiani, distante dalla versione nordica, assai mistica e simbolica. I critici increduli non riuscirono a spiegare la magia degli attori italiani, che affondava nella sapienza di chi conosce bene la polvere del palcoscenico. Pirandello, insieme a Eduardo De Filippo, rimarrà sempre un drammaturgo rappresentato all’estero anche nei periodi di maggior declino e grazie alla presenza delle comunità italiane emigrate. Nel Novecento, infatti, il successo del teatro italiano subisce un arresto per diversi fattori, come lo sviluppo di una innovativa regia europea e il conseguente cambiamento di modelli produttivi e organizzativi. Al grande attore che somma in sé diverse figure, tra cui quella di organizzatore, si sostituisce un apparato più complesso e frammentato. Solo negli anni Sessanta ci sarà una ripresa con l’esperienza delle avanguardie.

Ad oggi le lunghe tournée internazionali non sono più efficaci, mentre più funzionali risultano le coproduzioni e la partecipazione ai Festival. A muovere le fila dei mercati internazionali ci sono ora funzionari e intellettuali, che selezionano e invitano gli spettacoli stranieri agli eventi da loro organizzati. La presenza italiana ai Festival è scarsa, quasi assente. Il successo che l’Opera italiana continua ad avere ci fa comprendere come gli stranieri siano legati a un’immagine nostalgica e stereotipata di un’ arte italiana giocosa, musicale e dedita alla leggerezza. Poco aggiornati e un po’ sprovveduti, non sembrano consapevoli dei risvolti odierni del panorama teatrale italiano. È rimasta invariata anche la difficoltà tutta italiana di trovare un mercato accogliente in cui svolgere il proprio lavoro di attore. La conseguenza di questa reiterata impossibilità è stata la dispersione della nostra tradizione attoriale, l’unica prettamente italiana.

Giada Oliva

Romana, classe '85, laureata al Dams in Storia del teatro italiano. Ha studiato per diversi anni teatro e danza contemporanea. Particolarmente curiosa, ama essere una cacciatrice di esperienze e di nuovi punti di vista.