ArtePrimo PianoFocolari, forni e fornaci tra Neolitico ed Età del Bronzo

Alice Massarenti20 Luglio 2020
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Testimonianze di accensione del fuoco sono molto frequenti nei depositi archeologici e documentate da momenti molto antichi della preistoria umana. I suoi usi sono riferibili ad attività di vario genere, sia domestiche che artigianali: possono essere legati all’illuminazione, al riscaldamento, alla cottura del cibo, alla trasformazione di materie prime come osso, legno, corno, pietra o pigmenti. Ciò che rimane sono le strutture di combustione impiegate che, a partire dal Neolitico, assumono un ruolo determinante anche in relazione a nuove attività produttive legate a modi di vita stanziali. L’area di combustione è una porzione di superficie archeologica delimitata e distinguibile per un’alterazione termica del substrato che può presentare rubefazione delle pareti e frammenti di carbone e cenere.

A Lugo di Grezzana (Vr), un insediamento del Neolitico antico, sono state scavate alcune fosse di combustione di diversa forma e dimensione, datate tra il 5400 e il 5000 cal. B.C. Sono tutte caratterizzate da pareti fortemente rubefatte, fondo leggermente scottato (o non scottato affatto), da larghe travi carbonizzate, o uno strato molto carbonioso, a pochi centimetri sopra il fondo. Sono inoltre presenti tutti quegli elementi identificativi di attività legate all’uso del fuoco: ceneri, carboni, concotti, ecofatti e manufatti con segni di alterazione termica. Il riempimento sopra le travi carbonizzate è costituito da sedimento misto e manufatti in giacitura caotica. Le strutture presentano imboccature di diverse forme, da subquadrangolari a subcircolari, dimensioni che vanno dalla più piccola di 0,85 metri alla più grande di 2,10 metri di diametro, pareti subverticali e fondo piatto. Inoltre sembrano differenziarsi per le caratteristiche dei riempimenti: pochi e poco vari i materiali rinvenuti nelle strutture più grandi, mentre materiali litici, ceramici e ossei sono presenti nelle più piccole. Il complesso strutturale vede anche la presenza di una canaletta a forma di “S” lunga 4 metri e poco profonda. Essendo le pareti alterate termicamente, l’avvallamento sembra contemporaneo e connesso funzionalmente all’area a fuoco.

Gli scavi al sito neolitico di Lugo di Romagna (Ra) hanno consentito di documentare, oltre a un complesso sistema di recinzione del villaggio, un’intera capanna distrutta da incendio e in contesto primario di crollo. La struttura era costituita da due distinti vani, corredata da strutture di combustione, da elementi accessori, da un intero set di vasellame e da derrate alimentari stoccate. La casa era dotata di un focolare centrale, di un forno addossato a un muro perimetrale e di una serie di pozzetti ricavati nei piani pavimentali e colmati di cenere che sono stati interpretati come strutture accessorie per la conservazione della brace. Il caso di Lugo di Romagna offre la rara occasione di studiarne la complementarietà, delineando un vero e proprio sistema funzionale per la gestione del fuoco come fonte di calore, di illuminazione e come mezzo di cottura degli alimenti.

Tale sistema sembra potersi riassumere in cinque diverse azioni: combustione diretta sulla piastra rilevata del focolare centrale; disposizione delle braci attorno al focolare; alimentazione della camera interna del forno con le braci (producendo irraggiamento di calore e consentendo la cottura, a temperatura controllata, degli alimenti); stoccaggio di parte della brace prodotta per combustione diretta sul focolare nei pozzetti colmati quindi con cenere; utilizzo della brace così conservata grazie alle condizioni di micro ossigenazione per la successiva riaccensione del fuoco.

Nel corso dello scavo della Terramara di Pilastri di Bondeno (Fe) sono stati scavati i resti di due o più impianti a fuoco, in parte costruiti all’interno di una capanna-laboratorio. La costruzione era stata realizzata con pali e paletti lignei e pareti di argilla limosa, con pavimenti pluristratificati nello stesso materiale arricchiti da scarichi di cenere e frammenti di argilla scottata risultanti da cicli di attività, manutenzione e ripristino di fornaci. Il piano interno della fornace scavata e il pavimento immediatamente circostante mostrano con chiarezza l’uso di ossa animali come combustibile. Una delle pareti del laboratorio, in corrispondenza del probabile camino della fornace stessa, era aperta per consentire lo sfogo dei fumi. La fase di attività della capanna-laboratorio, in apparenza multifunzionale, è collocata dal radiocarbonio ca. tra il 1500 e il 1250 a.C.

Un interessante reperto è il piano di cottura mobile: di forma circolare e poggianti su un piede continuo con cui costituivano un corpo unico e dotati di “maniglie” per il trasporto, del diametro compreso tra i 60 e i 70 centimetri, venivano trovati posizionati all’interno di strutture abitative, sull’apertura di buche di forma trapezoidale profonde 40/50 centimetri. Il riempimento delle buche era costituito da cenere, carboni, resti ossei e frammenti ceramici.

Nessun piano è stato rinvenuto integro e il diametro è stato dedotto sulla base di pochi frammenti di parete; sono conservate alcune maniglie, recanti talora delle decorazioni, e diversi frammenti di piani, in un solo caso con la relativa parete. L’assenza di tracce di combustione sui piani così come la colorazione omogenea sembra suggerire che il loro funzionamento avvenisse a basse temperature e non è escluso che siano da riferire a forni di tipo alimentare (panificazione, affumicazione/essicazione/cottura di carni e pesce).

Alice Massarenti

Nata a Mirandola, in provincia di Modena, classe ’84, si è laureata in Archeologia e storia dell’arte del vicino oriente antico e in Quaternario, Preistoria e Archeologia con una tesi in Evoluzione degli insiemi faunistici del Quaternario. Ha un’ossessione per i fossili e una famiglia che importuna costantemente con i racconti delle sue ricerche sul campo.