LetteraturaPrimo PianoTra solitudine e disordine: la parabola di Igino Ugo Tarchetti

Monica Di Martino8 Marzo 2022
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Igino Ugo Tarchetti nasce a San Salvatore Monferrato, paesino in provincia di Alessandria, e il suo temperamento anticonformista – incline alla solitudine e al disordine – ne fa un tipico rappresentante del clima scapigliato di Milano, città in cui si era trasferito dopo aver abbandonato la carriera militare. La Scapigliatura fu, in effetti, fenomeno essenzialmente milanese in quanto città più progredita dal punto di vista economico e sociale e in cui più evidente era il contrasto fra intellettuali sognatori e borghesi caratterizzati da uno spirito decisamente pragmatico. La protesta si rifletteva spesso anche nella realtà quotidiana: da Emilio Praga a Giovanni Camerana, la contestazione li portò a condurre una vita altrettanto oppositiva, ribelle e disordinata; in questo senso, appare evidente il parallelismo con i poeti maledetti francesi così come con il mondo artistico generale dei pittori o dei musicisti.

Il Tarchetti scrisse numerose opere, in prosa e in versi: I canti del cuore, prose liriche d’ispirazione popolare; Paolina, romanzo sociale che ha come protagonista una povera fanciulla sedotta e abbandonata da un nobile; Una nobile follia, in cui si scaglia contro la guerra; I racconti fantastici che, incentrandosi sul macabro e il “nero”, si basano sul modello di Edgar Allan Poe; Disiecta, l’opera in versi postuma.

Ma quello più importante e in cui compare senza dubbio l’elemento autobiografico è il romanzo Fosca, lasciato incompiuto e completato da Salvatore Farina, suo amico. Il romanzo uscì a puntate sulla rivista milanese Il Pungolo, e vi emerge con forza e pienezza l’attrazione dell’autore verso il patologico, il macabro e la morte. Il protagonista è diviso tra due donne: l’una bellissima e serena, l’altra bruttissima e isterica; pian piano subisce sempre più il fascino di quest’ultima – Fosca – senza potersene più liberare. Questa situazione, che anticipa nell’opposizione Amore-Morte le tematiche decadenti, declina in un finale tragico: la donna muore dopo una tormentata notte passata insieme e il protagonista contrae la malattia della donna. L’aspetto raccapricciante è dato proprio da questa figura femminile che, come donna-vampiro, succhia e consuma la vita dell’uomo fino a trasmetterne il morbo e, nella descrizione della sua esagerata magrezza, appare anche l’immagine della morte. Il protagonista, subendone il fascino, esprime quindi l’attrazione per l’autodistruzione e l’immagine cadaverica di Fosca che lo stringe a sé si carica di significati simbolici.

Igino Ugo Tarchetti morì di tisi nel 1869, appena trentenne, anticipando peraltro la fine dell’amata Carolina, la donna malata con cui ebbe una relazione sentimentale e per la quale fu tacciato di scandalo. Il giorno successivo alla morte così si leggerà su Il Pungolo: «È morto dopo aver lungamente, coraggiosamente e dignitosamente lottato contro le brutali realtà della vita, nemiche accanite all’arte e alle sue manifestazioni; è morto quando la speranza di miglior avvenire, frutto di lavoro assiduo e di costanza indomabile, più caramente gli sorrideva». Una breve ma intensa esistenza, coronata dal sostegno degli amici, i suoi più accaniti estimatori. Così si legge nella parte finale dell’epigrafe dettata da Emilio Praga:

 

«Né il triste e dolce cammino interrotto
Rimpiangeresti… e la precoce meta,
se tu leggessi come noi – “qui sotto
dorme un poeta”»

Monica Di Martino

Laureata in Lettere e laureanda in Filosofia, insegna Italiano negli Istituti di Istruzione Secondaria. Interessata a tutto ciò che "illumina" la mente, ama dedicarsi a questa "curiosa attività" che è la scrittura. Approda al giornalismo dopo un periodo speso nell'editoria.