Elizabeth Siddal, prima di essere la Beatrice di Rossetti, è l’Ofelia più celebre nella storia dell’arte. L’allora diciannovenne Lizzie posò per John Everett Millais immersa nell’acqua completamente vestita e, nonostante gli accorgimenti del pittore, che aveva posto sotto la vasca delle lampade ad olio, il risultato fu un grave raffreddore per la fanciulla. Malgrado il retroscena così poco poetico, l’esito ottenuto è uno dei dipinti più noti ed evocativi dell’arte moderna: il volto di Ofelia semisommerso dalle acque del fiume e circondato da una ricca e variopinta vegetazione è divenuto iconico, così come del resto fu la figura della Siddal, che incarnò gli ideali della bellezza preraffaellita.

La sua attività di modella per gli artisti iniziò nel 1850, quando posò per Walter Howell Deverell per il suo dipinto Twelfth Night. Il suo incarnato eburneo e i suoi capelli ramati iniziarono da allora a fungere da ispirazione per altri pittori: William Holman Hunt, il già citato Millais e, per ultimo, Dante Gabriel Rossetti, il caposcuola dei preraffaelliti. Per ultimo nel vero senso del termine poiché, da quando i due si innamorarono, Lizzie posò solo ed esclusivamente per lui, che nel 1860 sarebbe divenuto suo marito. Lizzie e Rossetti si erano conosciuti nel 1850 e a partire dal 1853 lei era divenuta la sua musa per una serie di dipinti, molti dei quali ispirati a Dante Alighieri e alla sua opera: The First Anniversary of the Death of Beatrice (Il primo anniversario della morte di Beatrice, 1853), Dante’s Vision of Rachel and Leah (La visione di Dante di Rachele e Lia, 1855), Beatrice Meeting Dante at a Marriage Feast, Denies him her Salutation (Beatrice incontra Dante a una festa di matrimonio e gli nega il saluto, 1851) e infine Beata Beatrix (1864-70), realizzato dopo la morte di lei, avvenuta due anni dopo le nozze. La salute già precaria di Elizabeth andò ulteriormente peggiorando dopo aver partorito una bambina morta: ciò le procurò gravi disagi psicologici che la portarono ad abusare di elevate dosi di laudano. Un uso eccessivo di questa sostanza avrebbe provocato la morte, molto probabilmente in maniera intenzionale.

Questi avvenimenti ebbero per Rossetti degli effetti devastanti: seppellì col cadavere della moglie il manoscritto contenente le sue poesie e fu ossessionato da manie di persecuzione. Convinto che il fantasma della donna lo accompagnasse ovunque, si avvicinò anche a delle pratiche di spiritismo per cercare di mettersi in contatto con lei.
Oltre che dei dipinti di Rossetti, la figura di Elizabeth fu protagonista anche delle sue opere letterarie: la donna costituì per l’artista l’ideale, la donna angelo che osserva e protegge il suo amato dal cielo, quella che egli descrisse nella poesia The Blessed Damozel (La fanciulla benedetta, 1847).
La poesia è incentrata sulla morte di una fanciulla che desidera riunirsi col proprio amato in cielo. Alcuni versi vennero rielaborati dopo la riesumazione della salma di Lizzie, per tale motivo la Damozel è ormai nella mente del poeta identificata con la moglie defunta. La sua presenza, nonostante la sua lontananza dal mondo materiale, è ancora tangibile e avvertibile nella natura e nel paesaggio circostante, tanto che crede di poter sentire la sua voce nel canto degli uccelli e i suoi passi nei rintocchi delle campane. La fanciulla della poesia è sì la donna angelo, ma rivela ben presto anche la sua seconda natura, ovvero quella di donna fatale, che conduce alla morte l’amato: lei desidera che egli giunga presto da lei e si sporge dalla «gold bar of Heaven» («soglia dorata del Cielo») per trovarlo. In tal modo si manifesta il celebre dualismo di “amore e morte”.
La poesia viene vista come una delle influenze che la Vita Nova dantesca ebbe sul poeta. L’altra è indubbiamente il dipinto Beata Beatrix di cui si parlava sopra. Esso rappresenta ancora di più un’identificazione di Lizzie con Beatrice, soprattutto perché il modello utilizzato da Rossetti per dipingere il volto della donna fu proprio quello della moglie. In una lettera Rossetti scrisse che quel quadro non doveva essere interpretato come il momento in cui Beatrice muore, bensì come l’esatto istante in cui il soggetto compie una «trasfigurazione spirituale improvvisa».
Tale definizione fa comprendere come in tale opera egli volesse rappresentare più Elizabeth che Beatrice, in quanto presenza ancora del tutto percepibile: non morta ma mutata nella forma.

Lucia Cambria
Siciliana, laureata in Lingue e letterature straniere e in Lingue moderne, letterature e traduzione. Particolare predilezione per la poesia romantica inglese e per la comparatistica. Traduttrice di prosa e versi, nel 2020 ha trasposto in italiano per Arbor Sapientiae il romanzo "L’ultimo uomo" di Mary Shelley.