La mostra E’ questa la prima o l’ultima notte sul nostro pianeta? di Lulù Nuti e Delfina Scarpa, a cura di Teodora di Robilant, presso la galleria Alessandra Bonomo a Roma, è un territorio di visioni iridate e brillanti che conquistano gli spazi in un dialogo cromatico, compiuto nella specificità e differenza delle poetiche e dei linguaggi, scultoreo e pittorico, delle due artiste.
Nella luce più viva di una genesi o di una fine, tonalità accese e materia luminescente conformano luoghi originari e impalpabili, tracciati fluidi di memorie frammentate che evocano percorsi arborei rarefatti, inaccessibili e attrattivi, mentre elementi corporei, nascenti e condensati in una dinamicità cromatica, restituiscono mutabilità e identità trasformativa, evidenziandosi come condizione seminale di una materia mundi, racchiusa nell’universo corporeo di una forma coagulata.

Nei componimenti pittorici di Delfina Scarpa l’azione diretta e istantanea si costituisce nella molteplicità degli elementi della vegetazione, riportata alla mente dai ricordi di paesaggi usuali e familiari, attraversati da unità luministiche ritmate ed estese nello spazio della tela, nella vibrazione caliginosa e pulviscolare, dilatata fino a diventare inafferrabile e sfuggente, ma impressa tenacemente a costituire un’istante di eternità.
L’artista, in un ordinamento spaziale costruito dal contrasto cromatico e reso impenetrabile da elementi di cesura prospettica e insidie ottiche, esplora una natura dall’entità enigmatica, sospesa ed estraniante, conducendo lo sguardo del fruitore in paesaggi percettivi, luoghi di adunanze emotive, in cui sondare luci e inquietudini, evanescenze e squarci d’ombra, in una dimensione extra-temporale.

Nell’opera Motore, Remoto tronchi accennati in sottili linee fluorescenti si perdono e dissolvono nell’oscurità di un fondo ipnotico ed enigmatico, mentre in primo piano una bioluminescenza diffusa emerge come realtà vivificata, ma ambigua, in cui la forza misterica e simbolica dell’elemento vegetale si ricollega a gerarchie ed equilibri cosmogonici antichi.
Nell’atto poietico di Lulù Nuti la materia, nella sua riduzione eidetica di luogo delle forme e matrice dell’intellegibile, emerge nel sua realtà materiale primordiale, estesa e conchiusa in conglomerati cementizi appartenenti alla serie Calcare il Mondo. Partendo da globi terresti gonfiabili e dai materiali più usati in campo edilizio, quali cemento e gesso, l’artista modella forme di mondo, carpite e assimilate da elementi duttili che solidificandosi accolgono impronte di superficie e tracce cromatiche, in un processo attivo e passivo che si evidenzia nella forma, nell’interazione e amalgama dei materiali, la cui eco storica e costruttiva è impressa indissolubilmente nell’opera finale.
Le opere, matrici di un pianeta soggetto a variazioni continue, si adattano al ritmo delle trasformazioni interne, delle cesure e delle congiunzioni, affondando il proprio nucleo fondativo nella storia presente, nello sguardo rivolto verso futuri possibili, in risposta ai fenomeni della dinamica terrestre, all’evoluzione e alterazione fisica del pianeta. Nascita e morte, abbandono o nuovo inizio, evidenziati nel titolo della mostra, sono elementi entrambi presenti, che attraversano la storia, pur restando fortemente legati al presente.

Nelle opere Sun Sulfur Iron, gli elementi biomolecolari primordiali che hanno dato origine alla vita, evidenziati nella ritmicità del titolo, sono nuove geogonie, forme plastiche rigenerative che custodiscono cromatismi lucenti di mari primordiali e ondulazioni tonali memori di selve primeve.
Nell’opera site specific Mari, caratterizzata da aste modulari, la materia – residuo della lavorazione di plastica e cemento – dà forma all’unione tra vento e flutti marini, in lembi di bandiere che orientano le rotte in sempre nuove e possibili direzionalità.

Negli avvolgimenti continui lungo assi stabili, ma amovibili, gli elementi scultorei contrassegnano rive sempre diverse, sagome destinate a far proprio ogni vento che muovono in se stesse una molteplice e instancabile identità, conservando il movimento e le reminiscenze di uno spazio equoreo che si trasforma, si placa, svanisce.

La mostra alla galleria Bonomo conduce il fruitore in un paesaggio estraniante di fondali erosi, che ricompongono la propria complessità nell’impatto con gli accadimenti, in cui riconoscere uno scenario della realtà che ci appartiene.

Nicoletta Provenzano
Nata a Roma, storica dell’arte e curatrice. Affascinata dalle ricerche multidisciplinari e dal dialogo creativo con gli artisti, ha scritto e curato cataloghi e mostre, in collaborazione con professionisti del settore nell’ambito dell’arte contemporanea, del connubio arte-impresa e arte-scienza.