CinemaPrimo PianoL’America contemporanea, tra violenza e avidità: “Diamanti Grezzi”

Bianca Damato21 Febbraio 2020
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Diciamolo subito: Diamanti Grezzi non è un film “facile”. È una pellicola impegnativa, a livello fisico e mentale. I registi hanno il merito di riuscire a trasmettere perfettamente una perenne sensazione di soffocamento, claustrofobia e angoscia, che accompagna lo spettatore fin dalla prima sequenza. Tutti sentimenti che il protagonista del film – Howard – dovrebbe provare ma dai quali invece sembra essere immune. Chi guarda il film è portato, inevitabilmente, a soffrire per lui, nonostante non si tratti certo di un esempio di probità.

Ma partiamo dall’inizio. Howard Ratner è un gioielliere ebreo di New York indebitato fino al collo. Deve oltre centomila dollari al cognato e il suo negozio, ubicato nel celebre Diamond District di New York, sta per fallire. Anche la vita privata non è delle migliori: è in procinto di divorziare da una moglie che lo detesta, è un padre assente di tre figli e ha come amante una sua dipendente che però lo sfrutta per non presentarsi a lavoro. Come se non bastasse, Howard è uno scommettitore incallito, ma non tanto fortunato. Il suo difetto peggiore è proprio quello di non accontentarsi mai e di non fermarsi mai. Howard riesce a mettere le mani su un opale nero proveniente dall’Etiopia, con lo scopo di venderlo all’asta per poter saldare il debito con il cognato Arno che gli ha messo alle calcagna due malviventi affiliati alla mafia. E qui iniziano i guai. Howard sarà trascinato in un vortice fatto di violenza, assurdità e avidità che – alla fine – lo porterà alla rovina.

È proprio questo vortice crescente a essere rappresentato in maniera ottimale dai registi, i fratelli Josh e Benny Safdie, già autori dell’acclamato Good Time (2017). La tensione che caratterizza ogni scena, di fatto anticipa il finale del film: è fin da subito evidente che la storia non potrà in alcun modo finire bene. Howard, infatti, resterà vittima delle sue ossessioni, incapace di comprendere lo stato delle cose. Non si accontenta mai, non trova mai soddisfazione in quello che possiede e dunque si spinge ogni volta fino al limite, finendo per capire che ciò che cerca non è in questo mondo e che l’unica risposta è la morte.

Perno centrale del film è Adam Sandler, che interpreta il protagonista: l’attore esce dalla sua “comfort zone”, caratterizzata da commedie leggere e spesso demenziali, per calarsi in un personaggio complesso e oscuro. I registi fanno bene a scommettere su di lui, certamente non il primo attore che verrebbe in mente per un ruolo simile. A lodare l’interpretazione di Sandler è stata anche la critica, che lo ha premiato con un Independent Spirit Awards. Tuttavia, con rammarico di molti, la nomination all’Oscar tanto sperata non è arrivata, lasciando l’attore a bocca asciutta. Bisogna da un lato riconoscere che quest’anno era particolarmente difficile competere con attori come Joaquin Phoenix e il suo Joker, oppure Adam Driver o Leonardo Di Caprio. Eppure la candidatura appariva del tutto meritata, quantomeno per riconoscere a Sandler lo sforzo compiuto per essere riuscito a spogliarsi della sua consueta veste, una cosa non scontata a Hollywood e che molti attori non vogliono fare.

Altrettanto interessanti nel film sono i personaggi secondari, ben costruiti e ben interpretati. Tra questi c’è la moglie di Howard, Dinah, interpretata da Idina Menzel, anche lei fuoriuscita dal consueto spartito che ha sovente interpretato in musical e commedie. Oppure il cognato Arno, un personaggio che compie un’evoluzione interessante nel film, cambiando ruolo e passando da iniziale antagonista ad alleato di Howard.

Bianca Damato

Giornalista, è nata a Benevento ma ha sempre vissuto a Roma. Ama viaggiare ma più di ogni altra cosa adora il cinema. Nel tempo libero va a teatro e non si perde mai un gran premio di MotoGP.