LetteraturaPrimo Piano“Dialogo di un Folletto e di uno Gnomo”: la critica di Giacomo Leopardi alla superbia degli uomini

Lucia Cambria3 Maggio 2021
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Tra il 1824 e il 1832 Giacomo Leopardi compose le Operette morali, una raccolta di ventiquattro componimenti suddivisi in dialoghi e novelle. I temi maggiormente trattati hanno a che vedere col rapporto dell’uomo con la storia e con la natura e con l’idea che egli ha del sé nel mondo in cui vive.

Un dialogo, in particolare, ha a che vedere con la questione dell’antropocentrismo: il Dialogo di un Folletto e di uno Gnomo. Composto a Recanati tra il 2 e il 6 marzo 1824, in questo dialogo un folletto e uno gnomo si prendono gioco della convinzione dell’uomo che il mondo sia organizzato secondo suo esclusivo uso.

Il folletto racconta allo gnomo che la razza umana si è estinta, tutti gli uomini sono morti e nessuna minima traccia ne rimane sulla terra. La risposta dello gnomo induce un’altra riflessione: «Oh cotesto è caso da gazzette. Ma pure fin qui non s’è veduto che ne ragionino». Come mai, dice lo gnomo, nessuna gazzetta ne ha riportato la notizia?

La risposta, semplice più che mai, è che nessuna notizia è stata pubblicata poiché non esiste più mano umana in grado di scriverle. In effetti, continua il folletto, che notizie potranno mai esserci d’ora in poi? Il mondo è disabitato, esistono solo il giorno e la notte, il caldo e il freddo, la luce e il buio. Nulla potrà più essere turbato da agenti esterni, tutto proseguirà regolarmente senza impedimenti, andrà verso un costante e ripetitivo ciclico meccanismo.

E il tempo? Che ne sarà del tempo? Nessuno conterà più le ore, i giorni, i mesi, gli anni. Nessuno più stamperà i “lunari”, cioè i calendari. Il folletto allevia e appiana questi pensieri ingarbugliati dello gnomo rispondendo che, in fondo, che cosa cambia sapere l’ora, il mese, l’anno? Andranno avanti nella loro esistenza senza l’ansia del tempo che trascorre inesorabile, senza rendersi conto di stare per andare incontro alla morte.

I due si coalizzano contro quegli uomini che per secoli hanno creduto di essere i signori del suolo che calpestavano, infatti notano che «la terra non sente che le manchi nulla». Circa le cause della scomparsa dell’uomo, varie ne vengono menzionate: guerre, disordine e persino l’ozio. Non è nuovo un contesto del genere in quanto, per gli stessi motivi, gli uomini sono morti anche nei secoli precedenti e di essi non ne resta altro che fossili.

Ma il testo di Leopardi, edificato sull’ironia e la satira, tocca la vetta non appena i due esseri iniziano a discutere su quale delle creature meriti maggiormente l’appellativo di padrone del mondo: il folletto è convinto che siano i folletti, in quanto sono loro che – rispetto agli gnomi – che vivono sottoterra, godono della luce del sole e della natura; lo gnomo, dal canto suo, è convinto che siano gli gnomi perché popolano le viscere del mondo, mentre i folletti si fermano alla sua «prima pelle».

La presunzione umana era però superiore a ogni altra e di questo i due ne sono estremamente concordi, tanto da commentare quanto avvertissero ogni essere vivente come assecondato alla loro volontà:

 

«Gnomo: Anche le zanzare e le pulci erano fatte per benefizio degli uomini?
Folletto: Sì erano; cioè per esercitarli nella pazienza, come essi dicevano»

 

Ecco che il poeta critica, con un breve ma efficace dialogo, la dimensione antropocentrica nella sua concezione maggiormente radicale. L’essere umano si riscopre fragile, solo e disilluso. Con l’indifferenza del mondo innanzi alla scomparsa della razza umana, che Leopardi tratta anche nel Canto notturno di un pastore errante dell’Asia, la natura si svela in tutta la sua disumanità e ammonisce l’uomo – seppur creatura eletta di Dio – a non peccare di superbia, pensando di poter disporre del Creato a proprio piacimento.

Lucia Cambria

Siciliana, laureata in Lingue e letterature straniere e in Lingue moderne, letterature e traduzione. Particolare predilezione per la poesia romantica inglese e per la comparatistica. Traduttrice di prosa e versi, nel 2020 ha trasposto in italiano per Arbor Sapientiae il romanzo "L’ultimo uomo" di Mary Shelley.