Nell’aprile del 1981, nei pressi di Vieste (in provincia di Foggia), in occasione dello sbancamento del versante sud-orientale della collina per la costruzione di abitazioni, sono state scoperte due camere sovrapposte e messe in luce numerose aperture collegate fra loro. I primi ritrovamenti archeologici della zona comprendevano vasi in ceramica, a volte interi o con resti di cibo al loro interno, lucerne di pietra, punteruoli d’osso, utensili come picconi da miniera e mazzuoli di selce, reperti ossei animali. Dal 1986 cominciano le ricerche ancora in corso di quella che si rivelerà la più antica struttura in Italia per l’estrazione della selce; infatti, prima della scoperta della miniera della Defensola, si conoscevano soltanto siti dell’età del Rame o del Bronzo, come ad esempio le miniere del Gargano o di Monte Tabuto in Sicilia.
La selce è la principale materia prima utilizzata dalle comunità preistoriche, poiché presenta notevole durezza, struttura isotropa e frattura conoide, tutti caratteri che permettono di produrre manufatti regolari con margini taglienti. La selce ha genesi prevalentemente sedimentaria e si può trovare in giacitura primaria sotto forma di strati continui, detti liste, o noduli di varie forme e dimensioni. In Europa l’estrazione sotterranea della selce si afferma con il Neolitico: la cartografia delle più antiche miniere segue la diffusione dell’agricoltura, mostrando che fu la nuova organizzazione sociale delle comunità agricole a rendere possibile l’avvio di un’attività complessa come l’estrazione sotterranea della selce. La più diffusa modalità di estrazione della selce era quella che prevedeva l’accesso alle formazioni selcifere tramite pozzi verticali. I grandi complessi minerari preistorici nordeuropei di pianura sono costituiti da centinaia di pozzi più o meno ravvicinati, profondi anche venti metri, che fanno apparire siti come Grimes Graves in Inghilterra, Spiennes in Belgio o Krzemionki in Polonia simili a gigantesche groviere. Questi siti estrattivi furono attivi per centinaia di anni e i pozzi furono aperti in periodi diversi. Dalla base dei pozzi si potevano dipartire nicchie, camere o corridoi sotterranei collegati tra loro, in base ai filoni di selce presenti nel sottosuolo.

La Defensola faceva parte di un più ampio complesso minerario, in uso dal Neolitico fino alla fine dell’età del Rame. Lo sviluppo della miniera seguiva due piani sovrapposti quasi orizzontali, scavati in due bancate di calcare compatto, contenenti noduli di selce di grandi dimensioni e ottima qualità. Ad oggi sono stati esplorati circa 2700 metri quadrati su un’estensione stimata di 6000 metri quadrati.
La struttura era del tipo “a camere e pilastri”, cioè costituita da una serie di cavità e da pilastri di roccia risparmiata per sorreggere il soffitto. Il sostegno della volta era anche assicurato con la costruzione di muretti a secco, creati mediante l’utilizzo del pietrisco prodotto dagli scavi, e da impalcature lignee. Il percorso dei minatori procedeva orizzontalmente, liberando i noduli di calcare che venivano individuati e sollevati mediante strumenti utilizzati come leve, formando così una specie di gradino sul fronte di estrazione. In alcuni casi i noduli venivano identificati nella parte più alta del corridoio e quindi venivano liberati per caduta e poi ridotti in blocchi. I corridoi sotterranei venivano illuminati da lucerne in pietra e i materiali utilizzati per l’attività furono ritrovati all’interno dei corridoi.

Il piano superiore si presenta, oggi, come un’estesa cavità con il soffitto alto solamente 50 centimetri, con pilastri di roccia risparmiati e riempita fino al soffitto con vari detriti. La presenza di vasi di ceramica, ritrovati interi nella loro posizione originaria, ha fatto ipotizzare che la miniera sia stata abbandonata in fretta in seguito a un evento sismico, che successivamente avrebbe chiuso definitivamente gli ingressi. È stato inoltre calcolato che, dal settore esplorato, siano state estratte oltre 400 tonnellate di selce e 1375 metri cubi di roccia. L’imponente e articolata attività della miniera era frutto di un lavoro altamente specialistico, svolto stagionalmente da gruppi di neolitici. La quantità di selce prodotta, se valutata durante il lungo arco cronologico del complesso, non sembra dare l’impressione di una produzione semi-industriale, ma rimangono ugualmente stupefacenti la complessità della struttura e il costo energetico richiesto dalla sua realizzazione in un’area dove gli affioramenti spontanei di selce sono abbondanti. Proprio a causa di questa imprevista scelta economica gli studiosi hanno ipotizzato che lo sfruttamento delle miniere fosse motivato dal commercio verso più regioni. La selce garganica è stata ritrovata nel sud Italia e anche su alcune isole che collegano la costa italiana con quella croata, dato che porta a ipotizzare che uno degli sbocchi della produzione fosse l’altra sponda atlantica.

Alice Massarenti
Nata a Mirandola, in provincia di Modena, classe ’84, si è laureata in Archeologia e storia dell’arte del vicino oriente antico e in Quaternario, Preistoria e Archeologia con una tesi in Evoluzione degli insiemi faunistici del Quaternario. Ha un’ossessione per i fossili e una famiglia che importuna costantemente con i racconti delle sue ricerche sul campo.