Il concetto di doppio è, da sempre, tra i più sfruttati e al contempo affascinanti: dalla filosofia alla letteratura, dalla psicologia al cinema, l’individuo è sempre stato irrimediabilmente attratto da quanto di più oscuro si possa celare nell’animo umano, persino in quello apparentemente più puro. Ormai, si direbbe che sia impresa ardua riuscire a dire qualcosa di originale al riguardo e a rimaneggiare un soggetto così spremuto in maniera inedita o, quantomeno, stimolante. Eppure, in campo cinematografico, è ancora possibile ravvisarne illustri esempi, anche e soprattutto tra i prodotti recenti. Tra questi, spicca senza dubbio Enemy (2013) di Denis Villeneuve: un piccolo gioiello, distribuito in Italia solo in DVD e Blu-Ray a quattro anni di distanza dall’uscita. Il regista prende spunto dal romanzo di José Saramago, L’uomo duplicato (2002), per mettere in scena 90 claustrofobici minuti, scanditi dalla soffocante fotografia dai toni seppia di Nicolas Bolduc e dall’angosciante colonna sonora di Danny Bansi e Saunder Jurriaans. Il tutto tenuto insieme da un filo comune: quello della tela di un ragno.
Adam Bell (Jake Gyllenhaal) è un professore universitario di storia con una vita apparentemente monotona e vuota. Vuota come il suo appartamento, in cui corregge i compiti dei suoi studenti e consuma meccanici rapporti sessuali con Mary (Mélanie Laurent). La routine viene interrotta da un suo collega che, con fare allusivo, gli consiglia un film: Volere è potere. Durante la visione, scorgerà un uomo identico a lui nel ruolo di una comparsa. Da quel momento, scovare il suo doppio diverrà un’ossessione che lo trascinerà nel tetro abisso della sua psiche, in una costante collisione tra reale e fittizio, dovere e desiderio, Apollineo e Dionisiaco, Super-Io ed Es. «Il caos è ordine non ancora decifrato»: così recita la citazione che apre il film. In effetti, pur essendo stata ritenuta tra le pellicole più criptiche degli ultimi anni, i simboli che la permeano sono indizi che ci aiutano lentamente a ricostruire la storia del protagonista, intrappolato tra due vite e disperatamente determinato a sopprimerne una. Diversi sono i momenti che contribuiscono a gettare un po’ di luce sull’intricato groviglio entro cui si muovono i due “doppelgänger”. Durante alcune sue lezioni, Adam discute dei regimi totalitari e dei loro metodi. «Controllo. È tutta questione di controllo»: ogni dittatura si avvale di strategie diverse ma lo schema non cambia, si ripete più volte nel corso della storia. Anche Adam e il suo doppio si sentono controllati da fili invisibili, come quelli del tram che collegano l’opprimente città di Toronto, significativamente sorvegliata da un aracnide gigante. Un simbolo ricorrente, quello del ragno, e facilmente riconducibile a quel sentimento di costrizione provato dai due doppi, intrappolati come mosche nella tela. Ma chi sono, in questo caso, i ragni?
I livelli di lettura possono essere molteplici: i fili elettrici, le chiamate nervose, la facilità con cui un individuo può essere individuato con poche mosse su internet, sembrerebbero far riflettere su quanto l’uomo moderno sia controllato dalla tecnologia e dalle macchine, privato della propria libertà poiché sempre rintracciabile. Ci sono, poi, le imposizioni dettate dalla società che lasciano spesso alla persona poco spazio di manovra, indirizzandola in maniera indiretta verso un destino prestabilito, apparentemente rispettabile ma di frequente insoddisfacente. Tali ragionamenti sono certamente riscontrabili in Enemy, ma vengono posizionati sullo sfondo per concentrarsi piuttosto sulla decifrazione del disordine psichico del protagonista. I ragni, allora, sono figure molto più vicine di quanto si pensi, e molto più umane. Anthony (questo il nome della copia/attore) si sente soffocato da un matrimonio non proprio felice e da un bimbo in arrivo. Ha tentato varie volte di schiacciare il suo “ragno”: dalla sequenza iniziale in cui si reca in un sex club privato, alle allusioni fatte da sua moglie Helen (Sarah Gadon), scorgiamo nel suo passato episodi di infedeltà, probabilmente ancora perpetuati. Adam è alle prese con una madre ingombrante (Isabella Rossellini), che sembra dover emettere sentenze riguardo ogni scelta effettuata dal figlio: l’appartamento in cui vive, il suo rapporto con le donne, la sua sciocca fissazione di fare l’attore.
È proprio a questo punto che lo schema si dipana e si ha la certezza, per la prima volta, che Adam e Anthony siano in realtà due riproduzioni della stessa persona. Incastrato in un’esistenza infelice, il protagonista ha riflesso il suo costante conflitto interiore nella scissione in due personalità opposte, ma accomunate dagli stessi impulsi. Entrambi agognano qualcosa dell’altro ma, allo stesso tempo, lo respingono in un’eterna e inconcludente disputa tra la vita “esemplare” rappresentata da un lavoro remunerativo, una bella casa e una famiglia, e quella governata dall’istinto, spesa a rincorrere sogni impossibili e piaceri carnali: tra l’ordine e il caos. L’ambiguità, punto di forza del film, scaturisce dalla scelta di mostrare tutto ciò che accade attraverso il filtro psichico del protagonista. Ogni immagine necessita di essere analizzata con estrema cautela poiché potrebbe appartenere tanto alla sfera della realtà, quanto essere una contorta proiezione della mente di Adam/Anthony. A guidarci, la lucidità dei “ragni” che lo attanagliano: sarà l’afflizione della moglie ad allertarci e il pragmatismo della madre a smascherarlo.
«La storia si ripete due volte: la prima come tragedia, la seconda come farsa»: il professore di storia, citando Karl Marx, ci lancia un ulteriore segnale circa la fatale ciclicità che contraddistingue la sua esistenza, condannata al vizio imperituro. A un certo punto, sembrerà che finalmente una delle due personalità – quella apollinea – abbia avuto la meglio con la drastica eliminazione della sua controparte dionisiaca ma l’enigmatica scena finale, seguita dallo sguardo rassegnato di Adam ricongiunto ormai a sua moglie, ci ricorderà quanto la sua vita non sia nient’altro che una “farsa”, caratterizzata da un infinito riproporsi dello stesso schema, senza alcuna via d’uscita.
Enemy si va indiscutibilmente a collocare tra i migliori thriller psicologici degli ultimi anni. Grazie anche – tra gli altri pregi – alla notevole interpretazione di Jake Gyllenhaal (che aveva collaborato con Villeneuve nel 2013, in Prisoners), si incastona nella brillante filmografia del regista canadese, tra i più ispirati e stimati degli ultimi anni, che a partire dai primi lungometraggi fino ad arrivare a Blade Runner 2049 (2017) si è saputo magistralmente districare tra i diversi generi cinematografici dando vita a piccoli capolavori, intenzionato a non commettere alcun passo falso.

Nadia Pannone
Basta poco a renderla felice: un buon film, un po' di musica anni Ottanta, una libreria, qualche conversazione stimolante, un lago, delle luci al neon, una piazza deserta e assolata, delle foto vintage, una coperta e un buon caffè.