LetteraturaPrimo PianoTeatro e DanzaFortuna e limiti degli espedienti narrativi: dal “deus ex machina” alla “pistola di Čechov”

Adele Porzia28 Ottobre 2021
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In ambito teatrale, sin dall’origine dei tempi, si è sempre cercato di tenere il pubblico col fiato sospeso. Di sorprenderlo con qualche geniale trovata, che capovolgesse la storia e la facesse terminare bene o male, a seconda che si trattasse di una tragedia o di una commedia. Oppure, un semplice pretesto per chiarire ai personaggi stessi dei fatti misteriosi, perché la loro reiterata ignoranza impediva la risoluzione di un enigma e il felice esito della storia. In altri casi, questi trucchetti consentivano che venisse fuori la verità. Euripide, uno dei più grandi tragediografi greci insieme a Eschilo e Sofocle, veniva accusato dal commediografo Aristofane di adoperare con eccessiva insistenza nei suoi drammi una tecnica teatrale (ma a conti fatti anche narrativa) che gli serviva proprio per dare un finale alle sue trame intricatissime. Ci si riferisce al “deus ex machina”, di cui Aristofane non manca di fare spesso la parodia.

Delle tante tecniche teatrali antiche, questa è certamente la più celebre; comportava che una divinità si intromettesse nella tragedia in atto per svelare verità fondamentali alla lieta risoluzione o, semplicemente, alla conoscenza dei fatti da parte dei personaggi. Che la divinità intervenisse fisicamente sul palco (cosa che avveniva raramente) o che parlasse da un piano sopraelevato, il suo intervento scioglieva l’arcano. Aristofane, malignamente, aveva da ridire sull’abuso di questa tecnica da parte di Euripide e riteneva che fosse un segno della sua pigrizia mentale, della sua incapacità di risolvere le trame in qualche altro modo. Eppure, questo procedimento aveva un gran successo, al punto da acquistare la sua enorme fortuna nei secoli successivi, entrando nel nostro immaginario e uso comune come espressione ricorrente.

Il “deus ex machina” è chi appare all’improvviso e, parlando, conduce alla risoluzione. Si tratta, perciò, di uno stratagemma che non è detto abbia attinenza con la trama, cioè non è detto che sia del tutto un elemento narrativo: siamo, piuttosto, di fronte a un espediente. Euripide lo utilizza, ad esempio, nel caso del suo Ippolito. L’eroe viene creduto il responsabile del suicidio della sua matrigna che, prima di morire, ha lasciato una lettera in cui accusa il ragazzo di averla sedotta, ferendola nell’onore e costringendola a quel gesto estremo. Il marito, Teseo, crede a sua moglie, scaccia il figlio e domanda a Poseidone vendetta. Il ragazzo sta per morire e interviene Artemide (che scende da una macchina) e che rivela la verità sul ragazzo, riabilitando il suo nome. Con il passare dei secoli, il “deus” che risolve tutto può essere chiunque. Non per forza una divinità, basta che si riveli portatore di verità, elemento risolutore dell’arcano.

A tale stratagemma teatrale, o semplicemente narrativo, possiamo associare il suo opposto, perché se il “deus ex machina” risiede in un elemento esterno che giunge dal cielo per consentire lo scioglimento della trama, la cosiddetta “pistola di Čechov” è esattamente il contrario, dato che si basa su un elemento del tutto interno al racconto. È ormai divenuta celebre la frase dello scrittore e drammaturgo russo Anton Čechov, secondo cui se in un romanzo c’è una pistola, la si deve usare. Secondo questo principio, che si tratti di un romanzo o di uno spettacolo teatrale (ma vale anche per un film), ogni elemento deve essere sfruttato e può rivelarsi addirittura fondamentale per il finale della storia.

Entrambi gli stratagemmi, quindi, si rivelano efficaci per la risoluzione del dramma, in quanto importanti snodi narrativi. Ora, in una narrazione che vuol essere realistica, non si adopera il “deus ex machina”, perché considerato artificioso. Certamente, pur restando un’alternativa validissima, ad essa viene preferita la “pistola di Čechov”, perché in grado di sorprendere decisamente di più lo spettatore o il lettore. Si parla di un oggetto, infatti, che inizialmente pare essere addirittura superfluo. È presente nella storia, ma quasi non ha importanza. Viene fatto ad esso un veloce cenno e presto il lettore se lo dimentica. Eppure, è sempre lì e silenziosamente attende di essere adoperato. Infatti, è quell’oggetto che alla fine porterà al colpo di scena.

Volete un esempio di utilizzo della “pistola di Čechov”? In Notre Dame de Paris, si spiega velocemente, nella descrizione del personaggio di Esmeralda, che il suo nome è dovuto a una collana di pietre verdi che la ragazza tiene al collo. Sappiamo che è stata rapita dagli zingari, che è una ragazzina bellissima e la trama, più che mai tragica, prosegue finché non viene recuperata l’importanza di quella collana. La madre, infatti, si era chiusa per penitenza in una torre, allo scopo di riavere la figlia rapita, e riconosce Agnes (il vero nome della ragazza) come sua figlia proprio grazie alla collana.

Il lettore non può immaginare che un oggetto apparentemente superfluo, che serve solo a spiegare il soprannome di un personaggio, si rivelerà più avanti fondamentale. Non può immaginarlo, tanto è insignificante la sua natura. Da qui l’effetto a sorpresa, e non è detto che questo stratagemma debba riguardare un oggetto: può essere un personaggio insospettabile, uno stato d’animo, un avvenimento di qualunque tipo. L’importante è non lasciare nulla al caso in una storia. Il precetto di Čechov, infatti, non si limita alla scrittura, ma può essere adattato a qualsiasi ambito. Per esempio, nella scenografia teatrale, può essere applicato non lasciando alcun elemento al caso, facendo sì che nulla sia esclusivamente ornamentale. Dopotutto, il diavolo (ma anche il genio) si nasconde nei dettagli.

Adele Porzia

Nata in provincia di Bari, in quel del ’94, si è laureata in Filologia Classica e ha proseguito i suoi studi in Scienze dello Spettacolo. Giornalista pubblicista, ha una smodata passione per tutto quello che riguarda letteratura, teatro e cinema, tanto che non cessa mai di studiarli e approfondirli.