LetteraturaMusicaPrimo PianoTeatro e DanzaDa Carmen a Esmeralda: la gitana nella letteratura ottocentesca

Anita Malagrinò Mustica29 Settembre 2021
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«Jamais Carmen ne cédera!
Libre elle est née et libre elle mourra!»

 (Carmen, Atto IV)

 

Il cielo andaluso si tinge d’arancio e un tramonto traballante scalpita sulla bella Siviglia, sconvolgendone la dolce incertezza crepuscolare e alterandone la quiete. Una vaga e insolente melodia si beffa dei lieti pensieri degli abitanti della cittadina spagnola, che attendono il ritorno delle giovani sigaraie, vestite di una flebile e sconsolata alterigia. Passano alte e sottili, facendo oscillare orlo e balza, con portamento agile e inquieto. Sono venerate, idolatrate e, con un’ingenuità ipocrita e civettuola, permettono agli uomini sulla scena di bere dai loro occhi «un cielo livido gonfio di bufera». Tale contesto preludia all’irrompente ingresso della gitana Carmen, che – partorita dalla penna di Prosper Mérimée – invade la scena, sulle note sensuali di Georges Bizet, delineanti la forte personalità di un personaggio iconico e intramontabile.

Carmen, con indosso un audace scialle rosso, agitando al vento i suoi ricci ribelli, cattura gli astanti, intonando versi immortali e incarnando la briosa e dolorosa potenza della passione amorosa. Carmen tenta, scappa, si fa inseguire con crudeltà, deridendo i sentimenti dei suoi pretendenti. È la personificazione della casualità, della sregolatezza della passione e della sofferenza che da essa inevitabilmente deriva. Carmen, come l’amore da lei cantato, non conosce leggi («L′amour est enfant de Bohême /Il n′a jamaisjamaisconnue de loi») ed è immune da qualsiasi giudizio. Con il suo sguardo penetrante e fulmineo, attira a sé Don José, costringendolo a sperimentare sulla propria pelle i tormenti d’amore. Carmen, nel primo atto, scaglia al sergente un fiore, come se si trattasse di un dono fatale. Questo preciso momento sancisce l’inizio di una relazione clandestina, che culminerà in follia e in tragedia.

Ma ciò che più affascina, al di là dell’intreccio delle vicende narrate, è la libertà – quasi magica e stregonesca – di Carmen: un personaggio dai tratti definitamente baldanzosi e ribelli, capace di ergersi a effigie delle forze più istintive e dionisiache dell’uomo. Con questo personaggio, Bizet rigenerò l’”opéra-comique”, puntando sul crudo realismo. Introdusse nell’arte lirica una vicenda d’amore, di gelosia e di sangue, articolata con la forza di una tragedia classica, rivoluzionando gli schemi vigenti all’epoca della prima rappresentazione. Quando, nel marzo del 1875, Carmen debuttò al Teatro dell’Opéra-Comique di Parigi, il pubblico e la critica accolsero freddamente il lavoro. Si gridò allo scandalo per lo spirito incorreggibilmente libero della protagonista, lontano dalle aspettative degli spettatori del tempo.

Questo personaggio, però, non rappresenta un’eccezione nella letteratura francese ed europea. La gitana, infatti, è un soggetto letterario ammaliante, irrequieto e indeterminato. Le anime poetiche si riscoprono rapite dal «carattere fiero e libero che risveglia anche negli spiriti disciplinati un sordo istinto d’indipendenza e di vita errante», come sottolineato da Théophile Gautier. La figura della zingara ha ispirato grandi capolavori, che ne hanno esaltato il fascino e la passionalità. Come non citare, a tal proposito, il Wilhelm Meister di Johann Wolfgang von Goethe e il Notre Dame de Paris di Victor Hugo. In queste opere dall’indiscussa bellezza, le protagoniste – le gitane Mignon ed Esmeralda – sono la perfetta incarnazione degli ideali romantici di esotismo, naturalezza e autenticità passionale.

Esmeralda, avvenente sedicenne, danza per le strade della Parigi di fine Quattrocento, richiamando a sé gli sguardi dei passanti e facendo innamorare l’arcidiacono di Notre Dame, Claude Frollo, il campanaro Quasimodo, deforme ed emarginato, e Phœbus de Châteaupers, il bel capitano degli arcieri del re. La ragazza irradia un’insolita vitalità e la sua personalità diviene espressione di amore puro e dedizione assoluta. È agognata, desiderata, e i personaggi del romanzo faranno di tutto per possedere quella sua ingenua e inconsapevole aura di velato erotismo. Tuttavia, proprio la potenza spontanea e naturale del suo sentimento decreterà una fine tremenda, come nel caso della bella Mignon.

La libertà eccentrica e inusuale di queste figure tragiche è difesa fino allo strenuo dai loro creatori. Pur di non farle soccombere negli ingranaggi di una società che tarpa le ali alla genialità poetica e intellettuale, essi decidono di eliminarle nella loro autenticità pervasiva. Si tratta di personaggi antitetici rispetto alle convenzioni del loro tempo: per non vedere arginata la propria personalità indipendente, queste protagoniste vanno incontro al loro destino infausto, conservando, però, un fuoco negli occhi, vivo e irripetibile.

Anita Malagrinò Mustica

Nata a Venezia, ma costantemente in viaggio per passione e lavoro, studia Lettere Classiche a Bari. Sognando di poter dedicare la sua vita alla ricerca e all’insegnamento, ha collaborato e collabora con varie realtà editoriali, scrivendo per diverse riviste di divulgazione scientifica e culturale. Appassionata di teatro e di poesia, porta avanti numerosi progetti performativi che uniscono i due ambiti.