Fondatore e direttore del NoGravity Theatre, Emiliano Pellisari è l’outsider della scena contemporanea, emblema di un “modo” teatrale inclassificabile e inclassificato, sperimentatore della tecnica NoGravity da lui stesso creata e brevettata. Il favoloso mondo NoGravity rimanda alla raffigurazione del movimento in assenza di gravità. Musicisti, interpreti, cantori, danzatori, acrobati, pezzi di scenografia, oggetti di scena si librano senza peso in un etere indefinito in cui non esistono direzioni ovvero in cui tutte le direzioni sono percorribili. Questa la cifra stilistica dell’opera teatrale di Emiliano Pellisari, che incanta il pubblico di tutto il mondo con le sue creazioni al di là dell’umano. È il Teatro delle Meraviglie, la zona in cui l’impossibile diventa possibile.

Ma questa è solo la punta dell’iceberg. Perché quello che il Teatro delle Meraviglie firmato Nogravity mette in gioco non è solo il concetto di gravità o di leggerezza. Quello che piazza come posta su un tavolo da roulette è la natura stessa degli elementi da cui il linguaggio teatrale è composto. Questo l’aspetto meno evidente ma ben più pericoloso e sicuramente più scomodo del teatro di Pellisari. Mettendo in fila le sue opere principali – Inferno, Divina Commedia, Aria e il recentissimo Leonardo – è interessante notare quanto sia difficile individuare la tipologia di spettacolo a cui questi titoli appartengono. Non è raro che lo stesso titolo sia inserito in tipologie di spettacolo molto diverse nei Teatri che lo ospitano, ad esempio Danza per alcuni, Opera Lirica per altri.

L’atto del classificare o la messa in categoria sono certamente processi limitanti quando riguardano una qualunque opera dell’intelletto, è tuttavia pacifico che questi processi rispondono all’esigenza di comprendere e comunicare un concetto, pure a rischio di semplificarlo. Il linguaggio teatrale è per sua natura composto da diversi linguaggi che interagiscono e reagiscono in varia misura, è un sistema complesso e polisemico. Questa polisemia è spesso investigata e messa in discussione dalla contemporaneità. Pertanto, ogni giorno nuovi nomi composti vengono coniati per riuscire ad appropriarsi di forme artistiche ibride o innovative: Teatro-Danza, Circo-Teatro, Teatro-Immagine, Non-Danza, Anti-Teatro e via dicendo. Eppure l’opera teatrale di Emiliano Pellisari riesce a sfuggire anche a queste nuove e moderne composizioni e la domanda fatidica – che tipo di teatro è? – non ha ancora ricevuto una risposta certa. Si tratta di danza? Che tipo di danza? Aerea? Illusionistica? Classica? Contemporanea? Si tratta di teatro? Che tipo di teatro? Teatro immagine? Teatro acrobatico? Teatro musicale? Opera lirica?

Emiliano Pellisari attraversa con disinvoltura i confini tra le arti, creando ibridazioni talmente forti da portare a veri e propri straniamenti formali. I singoli elementi della sua ricerca – dalle minuziose coreografie di Mariana Porceddu, sua compagna nell’arte e nella vita, alla musica antica, alle allegorie filosofiche, ai costumi in forma di solido geometrico – nell’interagire si torcono reciprocamente fino a cambiare i connotati gli uni degli altri, fino a snaturarsi, fino a diventare irriconoscibili, fino a entrare in uno stato di straniamento e, da qui, di godimento. Assistere a uno spettacolo di Emiliano Pellisari può dare molte sensazioni definibili: il piacere dello stupore, la curiosità verso un enigma da decifrare, l’esaltazione e l’euforia del sublime, o anche il semplice, puro e sincero divertimento dell’intelletto. Ma sotto questa coltre di placidi sentimenti, si nascondono effetti difficilmente definibili.

Il corpo di scena muta continuamente. Il confine tra un musicista, una cantante, un interprete, un danzatore, un oggetto o un costume non è sempre tracciabile. Come in una immagine archetipica, meravigliosa e mostruosa a un tempo, nell’opera di Pellisari si materializzano forme in cui il “continuum” prende il posto del differenziato, producendo effetti di straniamento. Esplode il piacere barocco dell’imprevedibilità e dell’inafferrabilità del vero, che si trasforma ancora e ancora per ingannare la mente in un labirinto di possibilità verosimiglianti. L’esperienza del Teatro delle Meraviglie NoGravity è dunque un’esperienza di defamiliarizzazione e di destabilizzazione della forma, ovvero esperienza di puro godimento dell’intelletto.

Francesca Liguoro
Lavora da vent'anni in ambito teatrale: comunicazione, promozione e marketing presso enti, fondazioni, teatri, compagnie. Al timone un'impostazione narrativa, una messa in racconto del singolo artista o dello spettacolo, della stagione teatrale o del progetto futuro. Comunicare è raccontare una buona storia.