Primo PianoTeatro e DanzaCoreutiche riflessioni: la percezione dello spazio nella danza

Alessandra Battaglia5 Ottobre 2019
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Il ripensamento, se non il vero e proprio scardinamento del concetto di spazio, è un elemento decisivo nell’evoluzione dell’arte coreica, centrale fin dalla “modern dance”, seguita dalla “post-modern dance” e da tutte le espressioni contemporanee di danza. La relazione tra danza e spazio è sempre stata al centro delle riflessioni dei grandi coreografi e maestri della danza. Rudolf Laban (1879-1958), uno dei padri della danza moderna, individuava la direzione spaziale come l’elemento più importante del movimento del corpo, ricondotto a tre dimensioni: altezza, larghezza e profondità. Assegnando al centro del corpo il ruolo di fulcro gravitazionale, da cui riparte l’orientamento direzionale, Laban distingueva tra lo spazio in generale, lo spazio infinito e lo spazio intorno al nostro corpo, introducendo il concetto di “cinesfera”. Nell’elaborazione di questo orientamento spaziale, Laban abbandonò del tutto la tradizionale unidirezionalità del balletto classico per avvicinarsi a una teoria dinamica del corpo nel suo movimento nello spazio.

Nella danza, in generale, il corpo non solo occupa lo spazio ma al contempo lo crea; l’azione diretta del danzatore nello spazio può essere volta alla narrazione o andare oltre essa; la prossimità, tra spettatore e danzatore, è preferita alla distanza; la molteplicità degli stimoli visivi dei numerosi “performer” sulla scena supera l’unilateralità del punto di vista. Centrale in questo ripensamento dello spazio nella danza è soprattutto il magistrale contributo del grande coreografo Merce Cunningham (1919-2009), che impose la frantumazione della percezione della realtà nella discontinuità di eventi concomitanti. Proprio i suoi spettacoli, in sodalizio con il musicista John Cage (1912-1992), rivelano una logica del “qui ed ora”, della giustapposizione di azioni multiple e della decentralizzazione spaziale, logica alla base del concetto di “performance”.

È interessante notare come la riflessione intorno allo spazio nella danza sia uno stimolo che rende viva la ricerca stessa nell’arte tersicorea. Cos’è lo spazio? Come descriverlo, raccontarlo e viverlo? Sono interrogativi che coreografi e danzatori si pongono ogni volta costantemente nella loro vita artistica. Il focus sul concetto di spazio è una tematica interessante che può essere declinata in varie espressioni coreiche. Non a caso, le riflessioni sullo spazio nella danza si intrecciano con lo studio dello spazio in sé: la fisica, la matematica, l’architettura sono discipline tradizionali ma, nelle odierne generazioni di coreografi, diventano bagaglio di conoscenze personali e campo di studi affascinanti a cui rivolgersi.

Ricordiamo il caso di William Forsythe (1949) come esempio illustre di “spazio coreografico” in dialogo con l’architettura, mentre riguardo l’uso scenografico del contesto cittadino è da segnalare il lavoro di Virgilio Sieni (1958). In particolare i progetti di Sieni si attuano nella duplice dimensione pedagogico-laboratoriale e scenica; questi sono il segno della capacità della danza di radicarsi nel territorio e di attingere alla memoria locale. Lo spettatore diventa parte integrante della fase creativa, della drammaturgia e della configurazione dello spazio. La fruizione degli spettacoli di Sieni diventa una sorta di rappresentazione in movimento solo in parte prevedibile e diversa per ogni osservatore, venendo a essere sottolineato il carattere evocativo e ritualistico degli spettacoli.

La danza spinge ad allargare l’orizzonte semantico del concetto di spazio in relazione con se stessi e con gli altri, relazioni fondamentali nella danza. Il corpo coreografico teorizzato e attuato da Forsythe indaga proprio il legame tra la mente del danzatore e il suo corpo, il “performer” arriva ad avere una percezione ultra-sviluppata di sé e degli altri “performer” nello spazio che gli permette di attuare il “contrappunto coreografico”. Gli spettacoli di Forsythe sono incentrati su questo contrappunto, realizzato attraverso le interrelazioni tra i danzatori e l’esterno, tra segnali acustici interni ed esterni alla scena che condizionano lo spazio e il tempo vissuto dai danzatori; lo spazio è così creato dai movimenti dei “performer” e scandito dal loro ritmo, a sua volta legato e interconnesso con il ritmo corporeo del singolo.

Dentro e fuori, luce e ombra, pieno e vuoto, naturale e artificiale sono dicotomie che facilmente sono congiunte al concetto di spazio. Dicotomie che riguardano una modalità di approccio allo spazio formata sul concetto di architettura, che delinea uno spazio di confine. Allo stesso modo il corpo umano è uno spazio di confine, la sua architettura interna permette il movimento e l’architettura esterna che noi produciamo genera forme, disegni, ritmi: ciò che chiamiamo danza.

Alessandra Battaglia

Performer e danzatrice, coltiva l'arte coreutica fin da piccola, perfezionando la danza contemporanea, il teatrodanza e la ricostruzione coreografica di danze antiche, medievali e rinascimentali. A coronamento di questa passione consegue due lauree, una in Storia della Musica, una in Storia della Danza.