Ryosuke, Kotomi, Mirai e Naoki condividono un appartamento a Tokyo. Hanno dai venti ai trent’anni, e ciascuno di loro cerca di vivere la propria vita: Ryosuke si divide tra il lavoro e l’università; Kotomi, disoccupata, aspetta una chiamata dal fidanzato che forse non arriverà mai; Mirai sfoga le frustrazioni nell’alcol mentre tenta di sfondare come artista; Naoki lavora presso una casa di distribuzione cinematografica ed è alla ricerca di qualcosa di nuovo.
Ad alterare l’equilibrio dei ragazzi arriva un diciottenne di cui sanno poco e nulla, portato nell’appartamento da Mirai dopo una delle sue notti alcoliche. Chi è Satoru? Perché la sua comparsa coincide con le aggressioni notturne a giovani donne? I quattro indagano, ma durante la ricerca del colpevole si accorgeranno che nessuno di loro conosce l’altro. La convivenza nell’appartamento è solo un rapporto di facciata.
Kotomi e Ryosuke si erano fatti la loro idea di Satoru, che corrispondeva al Satoru che loro desideravano avere accanto. E io penso che Satoru, che era molto più navigato di entrambi, lo avesse capito e, con discrezione, facesse credere di essere proprio come se lo immaginavano. Naturalmente anche Kotomi e Ryosuke recitavano una parte. E lo stesso valeva per me e Naoki.
Strutturato in cinque capitoli che permettono di immergersi nella mente di ciascun personaggio, Appartamento 401 fa di un’apparente leggerezza il suo punto di forza: la narrazione procede attraverso un susseguirsi di episodi di vita quotidiana – i noti “slice of life” cari a Raymond Carver – e citazioni cinematografiche, per poi presentare inquietanti risvolti. Uno dei dialoghi tra Naoki e Misaki, la sua ex, primi inquilini dell’appartamento, ne è un valido esempio.
Siamo solo tu e io ad abitare qui. Ma qualche volta mi sembra che ci sia anche qualcun altro. Non lo so spiegare, è come se ci fosse un mostro che abbiamo creato.
Chi siamo in realtà? Quanto conosciamo chi ci circonda? Le maschere che indossiamo sono molte, le illusioni che ci imponiamo altrettante: Yoshida Shuichi è riuscito a descriverle con una lingua semplice e accessibile, fulcro di un romanzo leggero, mai banale, che analizza le molteplici sfaccettature della condizione umana.

Giulio Valeri
Ha studiato lingue, suonato con vari gruppi e viaggiato dalla Norvegia alla Nuova Zelanda. Cerca storie che lo stupiscano; non importa di che genere, purché abbiano qualcosa di interessante da dire.