CinemaPrimo Piano“Coco” e i suoi insegnamenti

Ludovica D'Erasmo15 Settembre 2019
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«Lo sai che devi fare se non sono insieme a te, ascolta la canzone e tu sarai vicino a me. Ricordami, ora devo andare via, ripensa a me, sentendo questa melodia». Sono questi i dolcissimi versi della colonna sonora del cartone più sensibile e memorabile degli ultimi tempi, Coco (2017, di Lee Unkrich e Adrian Molina). Un vivacissimo tuffo nella cultura messicana, un ventaglio di colori e decorazioni che fanno da sfondo alla tradizione attenta e delicata del culto dei morti. Il protagonista, Miguel, aspirante musicista in una famiglia in cui la musica è bandita, finisce per sbaglio nell’Aldilà. Iniziano così le mille peripezie per tornare nel modo dei vivi. L’Aldilà si presenta come una realtà speculare a quella “dell’aldiquà”, divertente e a tratti ironica, che esorcizza la separazione del lutto con canti, balli, colori e l’allegria di una società drammaticamente spensierata che è solita celebrare i propri defunti dal 31 ottobre al 2 novembre. Foto, candele, colori, fiori sgargianti, profumi e sapori, il tutto racchiuso in un incantevole cartone della Pixar che – fedele – ritrae il significato profondo che i messicani attribuiscono alla morte, alla separazione e al ricordo.

Grazie a Miguel – e agli altri personaggi della storia – si chiarisce un concetto chiave per la cultura messicana: non c’è niente di eterno in questo mondo e neanche nel mondo dell’Aldilà. I defunti, infatti, vivono e si realizzano in una dimensione invisibile e parallela soltanto grazie al ricordo che i propri cari conservano di loro. Se i ricordi vengono meno, anche la vita di ognuno nell’Aldilà sarà a poco a poco interrotta, fino a scomparire per sempre. Una consolante e attenta visione del mondo e dei mondi, un senso di responsabilità che pervade “chi resta”, un doveroso senso della memoria per continuare a tessere i fili dell’esistenza individuale e collettiva. Coco prende questo nome dalla bisnonna di Miguel, una vecchina centenaria che da bambina è stata abbandonata da suo padre musicista, Héctor Rivera. Coco è l’unica della famiglia a ricordarsi vagamente di lui, gli altri membri lo rifiutano e ne bandiscono il ricordo, mettendo così in pericolo la sua vita nel regno dei morti.

«Il film ci insegna che la memoria non è una forza passiva, ma un impegno»; «Coco ha tentato l’impossibile. Ha fatto della morte la protagonista di una storia di animazione»: con queste parole la critica ha voluto sottolineare la grandezza che ha contraddistinto il cartone, che non si è mai allontanato dagli occhi dei bambini. È ufficiale, quindi: si può parlare di tutto, si può addirittura rendere divertente e magico il macabro e il pauroso senza mai ridicolizzarlo o sminuirlo. Il film, dai toni splendenti e colorati, ha conservato e trasmesso saggiamente ai suoi spettatori, grandi e piccini, il senso della vita, della morte, del ricordo, del dolore e della famiglia. Quest’ultima si realizza grazie al concetto di comunione che unisce vivi e morti, una comunione che è qualcosa di più della semplice speranza, qualcosa che unisce l’umano al sovrumano, un potere che rende immortali, che scavalca le dimensioni spazio-temporali e arriva nell’Aldilà o chissà dove dando vita alla vita, nutrendola ancora. È forse questo quel potere che chiamiamo amore che lega gli affetti ovunque essi siano, dovunque si trovino.

Un altro aspetto chiave che il film presenta al suo pubblico è quello di continuare a lottare per le proprie passioni, seppure ostacolate dalla società: Miguel è un bambino di 12 anni che sogna di diventare un musicista nonostante sia osteggiato da tutta la sua famiglia. Il giovane non si arrende di fronte a niente e nessuno e arriverà a toccare dimensioni sovrumane, a tratti spaventose, pur di inseguire la sua amata musica. È un ulteriore nobile messaggio di vita che si sovrappone agli altri della storia. Coco è dunque un’esplosione di incoraggiamenti, un concentrato di speranza, un delicato senso di riscatto alla separazione dovuta al lutto; una voce, incontenibile e rumorosa, contro il tabù della morte nascosta ai bambini.

Ludovica D'Erasmo

Fin da bambina coltiva la passione per la scrittura. I giochi di parole e le rime catturano la sua attenzione. Oggi studia Lettere moderne alla Sapienza e sulla scia di filosofi, scrittori e poeti realizza quello che, da sempre, è il suo grande sogno: scrivere un libro. Da tutto questo nasce "Rimasi". La sua scuola migliore, però, rimane il mondo campestre.