ArtePrimo Piano“Carie”: la personale di Stefano Canto inaugura i nuovi spazi di Matèria

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Con la personale di Stefano Canto, Carie, Matèria inaugura il suo nuovo sazio espositivo in via dei Latini 27, nel quartiere San Lorenzo, perseguendo un percorso progettuale, iniziato nella sede di via Tiburtina 149, che lega fortemente la galleria alla città, ma con uno sguardo sempre attivo su collaborazioni nazionali e internazionali, come affermato dal direttore e fondatore Niccolò Fano.

La mostra Carie, a cura di Giuliana Benassi, crea un sistema dinamico di attraversamenti formali trasformativi, pieni e vuoti ricomposti in un’azione correlativa e connettiva tra forma costruttiva e realtà naturale, in riferimento agli stati consuntivi del mondo vegetale, a causa di attacchi fungini e parassitari.

Stefano Canto, Carie, serie, 2009 – 2021, Matèria

Giganti abbattuti da un processo corrosivo che lentamente scava e distrugge, gli alberi di Stefano Canto sono animati da nuova materia, il cemento, in una struttura dialettica tra due termini in tensione: l’elemento naturale e quello architettonico.

L’artista accoglie e raduna residui di tronchi e cortecce ormai erosi e svuotati da attacchi parassitari, lavorando sul vuoto, sulle ossature labirintiche, su snodi, fenditure e discontinuità di una materia che continua a mutare nella sua disgregazione, a cui risponde saturando le ferite, armando interstizi e integrando di corrispondenze plastico-costruttive cadute e cedimenti.

Stefano Canto, Carie, serie, 2009 – 2021, Matèria

Il processo inarrestabile del decadimento non è negato, ma sorretto e acuito dall’elemento cementizio, sostanza in opposizione e contrasto con gli organismi arborei che evidenzia il dialogo conteso e controverso tra natura e dimensione urbana, attuato già nella scelta dei tronchi prelevati lungo le strade cittadine a seguito del loro abbattimento.

Stefano Canto, Carie, serie, 2009 – 2021, Matèria

Frammenti ricomposti, memoria di corpi vegetali in cui la materia cementante si sviluppa dai vuoti creati dall’alterazione patologica, sopravvivono nello sguardo fondativo e generativo dell’artista, che attraverso il proprio processo scultoreo ne trasforma i nuclei interni, riformulandoli in realtà spaziali che si fanno sostanza unica nella comprensione e compenetrazione delle differenze tattili-corporee e delle varianti morfologiche.

Stefano Canto, Carie, serie, 2009 – 2021, Matèria

Il fusto martoriato di un albero nodoso si adagia lungo il proprio fondamento murario, confondendo le proprie membra nella struttura e portando ancora reminiscenza del luogo d’origine, delle luci e delle ombre che lo attraversavano nello scorrere delle stagioni.

Stefano Canto, Carie, serie, 2009 – 2021, Matèria

Il tempo, trascorso e a venire, si connette indissolubilmente alle opere lavorate lentamente – ma ininterrottamente – nello studio dell’artista a partire dal 2009, in un’azione riflessiva che ha agito nella poetica dell’artista tanto quanto all’interno dei tronchi e lungo l’apparato tegumentario.

Stefano Canto, Carie, serie, 2009 – 2021, Matèria

«La serie di opere, presentata sotto il titolo Carie, contiene in grembo la presenza del morbo», scrive la curatrice nel testo critico che accompagna la mostra, «un morbo che divora, lacera, svuota. Un morbo che agli occhi dell’artista è un segno reale di mutazione della materia, ma anche spia di una mancanza, una nostalgia di qualcosa che è andato perduto. È simbolo dell’età contemporanea, dell’“era del vuoto”, della società del disincanto, dell’indifferenza e della mancanza di qualsiasi ideale o progetto che non sia la vita al presente. Su questa iperbole temporale scivola il pensiero dell’artista come tentativo di riconnessione tra ciò che è perduto e ciò che può rinascere, tra la morte e il germoglio di una nuova vita».

Stefano Canto, Carie, serie, 2009 – 2021, Matèria

Ibridi morfologici costituiti dall’innesto tra fusto arboreo e architettura, appaiono come aggregazioni alternatamente logoranti e divorate, nate dalla mescolanza che si manifesta in tutta la sua complessità, la sua fragilità perspicua e la sua resistenza, ritrovata nella trasformabilità della morte stessa, collegata e annessa a un risveglio.

Nicoletta Provenzano

Nata a Roma, storica dell’arte e curatrice. Affascinata dalle ricerche multidisciplinari e dal dialogo creativo con gli artisti, ha scritto e curato cataloghi e mostre, in collaborazione con professionisti del settore nell’ambito dell’arte contemporanea, del connubio arte-impresa e arte-scienza.