ArtePrimo PianoArte suntuaria nell’area dello Stretto: l’enkolpion bizantino di Calanna

Anna D’Agostino29 Luglio 2020
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Le Arti suntuarie si annoverano fra le varie manifestazioni culturali importate da Bisanzio nell’Italia meridionale: si tratta dell’arte della lavorazione di metalli, oreficerie e smalti.

La fioritura di queste attività in Calabria, praticate da artisti bizantini risiedenti nel territorio, è documentata fin dal VI secolo quando per la regione – a seguito della sua conquista da parte dell’Impero Romano d’Oriente, per mano del generale Belisario, al tempo della guerra “greco-gotica”, e in seguito soggetta all’espansione dei longobardi di Benevento – si determinò un nuovo ordinamento politico, amministrativo e territoriale che sancì la crisi della compagine dell’età tardo-antica. In questa circostanza, la Calabria cominciò il processo di ellenizzazione che si concluse con la definitiva annessione delle sue diocesi alla gerarchia della Chiesa greca.

Tra le Arti suntuarie vi sono gli enkòlpia: il termine greco significa letteralmente “sul petto” ed esprime, sostantivandola, la consuetudine di allacciare questi oggetti al collo e, dunque, di poggiarli sul petto come dei medaglioni o pettorali. Sono, quindi, dei pettorali “a pendente” di differenti forme e materiali che, per le loro decorazioni, rappresentarono quasi un segno di riconoscimento per i cristiani dell’antichità, i quali – a volte – gli attribuirono anche una funzione protettiva contro il male.

L’uso degli enkòlpia non sempre fu considerato lecito: la realizzazione e l’utilizzo di amuleti furono vietati dal canone trentaseiesimo del Concilio di Laodicea (363 ca.); ciò fu ribadito da alcuni concili successivi, come il Quinisesto (692), e da alcuni Padri della Chiesa come Giovanni Crisostomo (407) e Gerolamo (420).

Tra le varie forme degli enkòlpia si annoverano quelli cruciformi che spesso ebbero la funzione di reliquiari; questi, pur diversificati nel materiale con il quale furono realizzati (che poteva essere più o meno prezioso), erano solitamente formati da due valve, incernierate e con chiusura a scatto, completati in alto da un appiccagnolo nel quale vi passava la catenella di sospensione; le superfici esterne erano decorate a rilievo o ad incisione e potevano presentare delle iscrizioni.

Gli enkòlpia cruciformi rinvenuti in Calabria sono undici, di cui solamente otto rientrano nella tipologia dei reliquiari, tutti databili tra il VI-VIII secolo: la croce trovata nella necropoli di Celimarro, oggi conservata presso il Museo Civico di Castrovillari (Cosenza); l’enkolpion del Museo del Castello di Santa Severina (Crotone), altri due sono presso il Museo Diocesano della stessa città; l’enkolpion rinvenuto nell’area del monastero di S. Angelo a Drapia, conservato nel Tesoro della Cattedrale di Tropea (Vibo V.); i tre enkolpion custoditi nel Museo Archeologico Nazionale di Reggio Calabria; un enkolpion ritrovato in località Paciuri di Malvito (Cosenza) e conservato nei depositi del Museo Archeologico Nazionale di Sibari; un enkolpion appartenente ad un’anonima collezione privata calabrese e, infine, l’enkolpion di Calanna (RC).

Valva di enkolpion cruciforme reliquiario con immagine della Vergine che sorregge il Figlio sul grembo, accompagnata da altre due figure nimbate, con iscrizione, bronzo, mm 88 x 59 x 4, Calanna (RC), Museo Archeologico Comunale c.da Ronzo.

Quest’ultimo, di cui si ha solamente una valva, fu ritrovato fortuitamente da un contadino entro il 1920, nella contrada Marchesi a Calanna, piccolo comune ricco di storia, sito nella provincia di Reggio Calabria. L’enkolpion fu acquistato dall’allora Museo Civico di Reggio Calabria, il quale all’epoca possedeva solo un altro esemplare di croce pettorale. In seguito confluì, insieme al resto della collezione, nel nuovo Museo Archeologico Nazionale, luogo in cui rimase fino al 2017, e da allora – a buona ragione – è esposto nel Museo Archeologico Comunale c.da Ronzo di Calanna, insieme alle altre importanti testimonianze archeologiche di diverse epoche, ritrovate in situ.

L’enkolpion esposto nel Museo Archeologico Comunale c.da Ronzo di Calanna

Il reperto bronzeo è generalmente datato tra il VII e VIII secolo, presenta una forma che tende verso lo schema di “croce latina” con le estremità leggermente svasate. Sull’asse verticale, con un segno marcatamente inciso, vi è a figura intera la Vergine che sorregge il Figlio sul petto: un’iconografia vicina a quella della Platytera. Ella è abbigliata con una lunga tunica, i cui bordi laterali arrivano fino all’estremità inferiore della croce; il busto è inciso con motivi lineari curvi e concentrici, che potrebbero essere interpretati come un manto, decorato con delle incisioni di piccoli e fitti segmenti, all’interno del quale vi è la testa del Bambino con nimbo crucisignato; un ampio collare gli circonda il collo, stesso doppio collare caratterizza il collo della Madonna, la cui testa – invece – è adornata di cuffia. Il Bambino presenta un abito decorato con un motivo romboidale ottenuto da lunghe incisioni incrociate e bordato in basso da una striscia orizzontale a zig zag.

I volti sono resi in modo sommario e schematico: grandi occhi, delineati da incisioni a mandorla; nasi e bocche esili, segnati da piccoli tratti. Il naso e le sopracciglia della Vergine sono tracciati da un’unica incisione così come i capelli del Figlio, resi con una linea curva attaccata al profilo superiore dell’ovale della testa. Conforme è la soluzione della capigliatura delle due figure presenti sui bracci laterali, caratterizzati dalle stesse linee nei volti, nell’aureola e nel vestito che ripropone il motivo a rombi dell’abito del Bambino. L’identificazione di queste due figure risulta complessa a causa della mancanza di iscrizioni e di attributi iconografici ma spesso, grazie al confronto con altri enkòlpia dalla simile decorazione, sono state avanzate delle ipotesi che le hanno identificate come i Santi Pietro e Paolo oppure San Giovanni e San Giorgio, anziché il Padre e lo Spirito Santo o ancora come due angeli (in quest’ultimo caso la raffigurazione rientrerebbe nell’iconografia della Vergine Angheloktissa, accompagna da angeli).

Sull’estremità del braccio superiore è incisa l’iscrizione “MH(τη)PΘ(ε)Y” ovvero “Madre di Dio” – Theotókos (in greco) o Deipara (in latino) – ed è bene ricordare che si tratta di un appellativo che la Vergine assunse a seguito del Concilio di Efeso (431). Questo reperto è una significativa testimonianza dell’influenza bizantina nel territorio di Calanna, importanza data anche dall’esiguo numero di questo genere di oggetti ritrovati non solo in Calabria ma in tutto il meridione.

Anna D’Agostino

Classe '93, laureata in Storia dell'Arte con una tesi in Museologia sull'arredamento dell'Ambasciata d'Italia a Varsavia dalla quale è scaturita una pubblicazione in italiano e polacco. Prosegue la ricerca inerente l'arredamento delle Ambasciate d'Italia nel mondo grazie a una collaborazione con la DGABAP del Mibact. É iscritta al Master biennale di II livello "Esperti nelle Attività di Valutazione e di Tutela del Patrimonio Culturale".