ArtePrimo PianoTra scienza e arte: l’importanza dell’empatia nell’esperienza estetica

Giulia Spagnuolo5 Gennaio 2020
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Se vi parlassero di neuroscienze applicate alla storia dell’arte, non ci credereste mai. Pensereste subito che non esistano due cose più lontane e incompatibili. Ma vi sbagliereste. Numerosi sono i punti di contatto tra questi due ambiti, primo tra tutti l’esperienza dell’empatia, che attraverso la scoperta del sistema dei neuroni specchio (MNS) nella corteccia premotoria ventrale e in quella parietale posteriore dell’essere umano ha fornito le basi per lo sviluppo della “neuroestetica”, e ha dato adito all’ipotesi di regole di percezione universali. Ogni immagine, nel momento in cui viene recepita, genera una risposta neurale in grado di innescare nel cervello dell’osservatore gli stessi circuiti che si attiverebbero se fosse lui stesso in prima persona a compiere i movimenti raffigurati nell’opera o quelli necessari a produrla, o a provare le emozioni intuibili sui volti dei soggetti dipinti. Questo è possibile grazie a quello che viene definito “meccanismo incarnato”, che consiste nella capacità innata della nostra mente di simulare azioni, emozioni e sensazioni corporee soltanto vedendole, per stabilire un contatto con ciò che è altro da noi.

La questione dell’empatia, come ponte per la nostra comprensione della sfera immaginale e delle opere artistiche analizzate secondo una prospettiva multidisciplinare, trova terreno fertile già a fine Ottocento, quando Robert Vischer sottolinea per la prima volta l’importanza dell’empatia per l’estetica. Con il termine “Einfühlung” (letteralmente, “sentire dentro”), egli fa riferimento alle reazioni fisiche prodotte dall’osservazione dei dipinti, notando come forme particolari suscitassero specifiche reazione emotive. Dopo di lui, numerosi altri studiosi si sono accostati al tema del movimento esteriore come specchio di quello interiore emotivo, e del coinvolgimento diretto dell’osservatore attraverso un sentimento di imitazione, ma gli studi più approfonditi in merito risalgono solamente ad anni recenti. Verso la fine del Novecento e l’inizio del nuovo millennio, studiosi come lo storico dell’arte Sydney Joseph Freedberg e il neurofisiologo Vittorio Gallese hanno finalmente deciso di unire le loro forze e di approfondire l’aspetto interdisciplinare dell’esperienza estetica, prendendo in considerazione tanto le metodologie canoniche della storia dell’arte quanto le scoperte neuroscientifiche, giungendo a risultati scientificamente dimostrabili nel cervello umano.

Jackson Pollock mentre realizza una delle sue tele con la tecnica del “dripping”

Freedberg e Gallese hanno notato che l’attivazione dei neuroni specchio non si verifica solo in risposta a opere figurative, dove pure è più facile e immediato identificarsi nei soggetti rappresentati, ma anche nel caso di dipinti astratti. Davanti ai quadri di Jackson Pollock, gli osservatori avvertono una sensazione di coinvolgimento corporeo che ricalca i movimenti impliciti nelle tracce fisiche compiute sulla tela dall’autore, quali i segni convulsi del pennello e gli schizzi di vernice.

Jackson Pollock, Autumn rhythm, 1950

E lo stesso avviene di fronte ai famosi “tagli” di Lucio Fontana, i quali attivano nel cervello degli spettatori una sensazione di movimento empatico che sembra coincidere con il gesto che ha prodotto lo strappo.

Lucio Fontana mentre realizza uno dei suoi famosi tagli su una tela

Questa sorta di reazioni somatiche in risposta alla manipolazione del medium artistico e all’evidenza visiva del gesto – che attivano le corrispondenti aree motorie nella corteccia cerebrale dell’osservatore – gettano nuova luce sullo studio dell’esperienza estetica, che si sgancia dall’imitazione di un movimento esplicito ritratto nell’opera, per fare invece riferimento a ciò che è implicito e solamente intuibile nel gesto dell’autore. La mente umana dimostra, così, di essere perfettamente in grado di ricostruire le azioni semplicemente osservando il risultato grafico statico di un gesto artistico compiuto da un altro soggetto.

Lucio Fontana, Concetto spaziale. Attesa, 1965

Allo stesso modo, la simulazione incarnata consente la comprensione e la ripetizione mentale dei contenuti delle immagini, siano essi azioni vere e proprie o emozioni e sensazioni individuabili sui volti dei soggetti dipinti o scolpiti. L’osservazione di un’azione o di un’espressione facciale attiva le stesse reti neuronali coinvolte nell’esecuzione stessa dell’azione in questione.

Michelangelo Buonarroti, Prigioni o Schiavi, 1525-1530 ca.

Davanti alla costrizione fisica evocata dalle statue che compongono la serie dei Prigioni di Michelangelo Buonarroti, ad esempio, lo spettatore registra un’attivazione muscolare localizzata nelle stesse regioni corporee che nella scultura cercano di divincolarsi dall’intrappolamento della materia. Il movimento di liberazione che le figure michelangiolesche accennano attiva una sensazione analoga nella corteccia motoria di chi le osserva e, di conseguenza, nelle sue stesse membra.

Francisco Goya, Que hay que hacer mas?, tavola 33 da I disastri della guerra, 1810-1820

Più sottile è invece il sentimento empatico nel caso di opere come la serie dei Disastri della guerra di Francisco Goya e l’Incredulità di San Tommaso di Caravaggio. Sia al cospetto delle scene di violenza e terribile sofferenza fisica del pittore spagnolo, sia di fronte al dipinto potentemente realistico in cui il dito di San Tommaso si infila nella ferita del costato di Cristo, la cui carne cede teneramente sotto la pressione della mano altrui, il meccanismo incarnato localizza le reazioni di disagio fisico degli spettatori nelle stesse parti del corpo che appaiono minacciate, ferite e menomate nella rappresentazione. L’empatia fisica, inoltre, in queste situazioni si tramuta facilmente in coinvolgimento emotivo: molti studi hanno ipotizzato che quando si osservano immagini che provocano reazioni forti come la paura o il dolore, il cervello – in “modalità di simulazione” – riproduce gli stessi stati somatici derivanti da quelle sensazioni, come se il corpo dello spettatore ne fosse effettivamente protagonista.

Caravaggio, Incredulità di San Tommaso, 1601-1602

Un caso a parte, che conferma ancora di più il potenziale del sistema dei neuroni specchio nel cervello umano, riguarda poi l’osservazione di immagini di oggetti statici. Infatti, le interazioni volontarie evocate da questi ultimi – ovvero come si suppone che questi vengano manipolati e usati – stimolano l’attivazione di regioni cerebrali motorie che controllano le azioni reali associabili a quegli specifici oggetti nella vita di tutti i giorni e non, come ci si aspetterebbe, aree corticali deputate invece alla rappresentazione di cose inanimate. Persino una natura morta, dunque, può stimolare il meccanismo della simulazione incarnata e generare empatia nello spettatore.

Giulia Spagnuolo

Storica dell’arte e curatrice in fieri, è interessata a raccontare ogni storia dalla parte degli artisti, per capire quello che c’è dietro, prima e oltre le singole opere.