Quando nel 1877, Tolstoj diede un finale – e che finale – alla sua storia più bella, non era pienamente consapevole del capolavoro che aveva portato a termine. Ci erano voluti due anni di sacrifici, durante i quali aveva pubblicato a puntate la sua Anna Karenina su Russkij Vestnik, importante rivista dell’epoca. Un romanzo, questo, così diverso da Guerra e Pace, con personaggi meglio caratterizzati e situazioni assai più ironiche. Insomma, la prova provata di un perfezionarsi continuo dell’abilità del romanziere. Non pochi lettori sono stati spaventati dalla mole di questo libro, eppure – complice il periodo che stiamo vivendo – pare che sia tra i libri più letti del 2020. Lo dicono numerose riviste internazionali, i cui dati hanno sorpreso critici e studiosi: da quando un libro tra i più lunghi mai scritti può essere di così grande attrattiva? Certamente avrà influito il maggior tempo libero a disposizione; eppure c’è da domandarsi il perché la lunghezza di un libro finisca sovente per essere considerata un problema.
Sono tanti i vantaggi che offrono i romanzi “lunghi”, quelli che superano le 600 pagine: anzitutto, lasciano al lettore il tempo di conoscere davvero i personaggi e di entrare in sintonia con il loro modo di vedere il mondo. Ma soprattutto, consentono di avere piena contezza dell’abilità dello scrittore e della sua capacità di creare un mondo fatto e finito. Certo, non è da tutti ideare un personaggio come Anna Karenina, tragico quanto moderno, e paragonabile a quelle figure che sono entrate nel nostro immaginario, come Medea, Fedra, Didone, Lady Macbeth o Madame Butterfly. Però, quel Lev Tolstoj – che aveva già all’attivo Guerra e Pace e una serie di romanzi brevi, sulla scia di Ivan Sergeevič Turgenev, che ebbero un grande pubblico e un successo superiore perfino a Padri e Figli del suo beneamato maestro – non ci regala semplicemente una bella storia: ci costruisce dei personaggi a regola d’arte. In particolar modo, il suo genio risiede nella straordinaria capacità di farci vedere tutto attraverso i loro occhi.
Infatti, all’inizio della storia conosciamo un caro mascalzone, Oblonskij, che è stato colto in flagrante dalla moglie durante un ennesimo tradimento. Pare che la separazione sia inevitabile e il più grande dispiacere di questo incorreggibile fedifrago non sia quello di aver tradito la povera Dolly, madre di cinque figli e non più attraente come un tempo, ma proprio quello di essere stato beccato. Un divorzio, nella Russia di fine Ottocento, è fuori discussione; dunque è necessario correre ai ripari. Si attende, così, la sorella di Oblonskij, Anna Karenina per l’appunto, perché convinca la moglie a ripensarci. Certamente, è ironico che a intervenire in questa crisi di coppia sia proprio Anna, ma questa è una delle burle che Tolstoj ama giocare.
Il lettore adora Oblonskij e, in virtù di questa inevitabile simpatia, si fida ciecamente del suo parere. Quindi – dopo poche pagine – giunge Levin, un suo amico di vecchia data, così serio, discreto, pieno di slanci romantici, insomma così diverso da Oblonskij. L’intera scena viene raccontata attraverso i suoi occhi benevoli e pieni di affetto. Il lettore, perciò, finisce con l’affezionarsi a Levin, specie quando questi confessa di essere perdutamente innamorato di Kitty, la sorella più piccola di Dolly, e di essere giunto con l’intento di chiederle la mano. La ama sin da quando era solo una ragazzina, ma non lo sappiamo sin da subito.
Tolstoij si preoccupa di farcelo scoprire piano piano perché, ancora una volta, si possa vedere Kitty attraverso gli occhi di Levin. E così accade, perché quando i due giovani si incontrano su un lago per pattinare insieme, dopo un lungo sentiero innevato, con la luce pomeridiana che illumina il paesaggio invernale, è lo stesso Levin a mostrarci la sua Kitty: «Si accorse che lei era lì dalla gioia e dal terrore che gli aveva afferrato il cuore». Non sappiamo nulla di questo personaggio, ma siamo spinti ad adorarlo: «Tutto risplendeva di lei. Lei era il sorriso che illuminava tutto intorno a sé». Sembra quasi che Tolstoj lasci momentaneamente il timone della narrazione al personaggio e, così, Levin ha una funzione narrativa, oltre i confini del personaggio. Questa è una grande intuizione dello scrittore, perché il lettore entri pienamente in sintonia con i personaggi.
Su questa scia, giungiamo al momento in cui Levin domanda la mano a Kitty, poco prima del ballo che si terrà nella ricca proprietà della ragazza. E a questo punto si spezza il nostro caro cuore, perché Kitty è innamorata di Vronskij che, a sua volta, si invaghirà proprio di Anna. Lei, perciò, rifiuterà Levin e la sua reazione è di una tristezza impressionante: «Non poteva essere altrimenti», disse egli senza guardarla. Si inchinò e se ne andò. Il nostro eroe decide comunque di restare al ricevimento, nonostante sia distrutto.
Ed è proprio qui, sempre attraverso gli sguardi dei personaggi, che la tensione drammatica raggiunge il suo apice e che Levin viene a conoscenza dei sentimenti della sua amata: «Questo dev’essere Vroskij, pensò Levin, e per convincersene guardò Kitty. Lei aveva fatto in tempo a guardare Vronskij e poi si era voltata a guardare Levin. E dal solo sguardo di quegli occhi involontariamente radiosi, Levin capì che lei amava quell’uomo, lo capì con certezza, come se glielo avesse detto a parole».
Il lettore inevitabilmente detesta Vronskij perché fa soffrire il povero Levin e questo sentimento, nonostante la piega che prenderanno gli eventi, non verrà mai meno. Eppure, di Levin e Kitty fortunatamente sentiremo ben parlare, ma è inutile togliere a un futuro lettore il piacere di scoprire che ne sarà, di lasciarsi incantare ancora adesso – dopo così tanti anni – da una storia tanto bella e intricata, con personaggi così vividi e realistici, così ben scritti. E una tale operazione non può che essere opera di un grande scrittore.

Adele Porzia
Nata in provincia di Bari, in quel del ’94, si è laureata in Filologia Classica e ha proseguito i suoi studi in Scienze dello Spettacolo. Giornalista pubblicista, ha una smodata passione per tutto quello che riguarda letteratura, teatro e cinema, tanto che non cessa mai di studiarli e approfondirli.