Piccolo, sottile, prezioso: in questo che lei chiama «libretto», Maria Bellonci conduce virgilianamente il lettore all’interno della storia del Premio Strega con accorata devozione e struggente sentimento. È un’edizione esclusiva del Club degli Editori dell’anno 1977, «presentato ai lettori della Collana Strega, primizia assoluta ad essi riservata». Dalla prefazione:
Lo Strega non è un premio letterario nato da incontri occasionali o da volontà variamente affermative; la sua storia è quella di un gruppo di gente di cultura che si è formato in tempo di pericolo ed è cresciuto fra le crisi e le contro crisi della nostra società letteraria, e, si potrebbe dire, della nostra società. […] Sono certa che i lettori si accorgeranno subito di quanto mi sia stato costoso affrontare anno per anno gli avvenimenti vissuti e soprattutto affrontare il costante lavoro di approssimazione ad una chiarezza analitica. Ma forse, se non fosse costato, non avrebbe avuto senso scrivere questa storia.
Come un racconto non è solo una storia personale o corale, una confessione o una lettera ai lettori; sono Gli anni del Premio Strega – non a caso proseguimento del titolo – gli anni di quell’Italia e delle sue trasformazioni, dei suoi scrittori, della sua forza. Una forza latente negli anni della guerra, ma mai arresa; tremula, ma non spenta. Maria e Goffredo Bellonci avevano spalancato le porte di casa loro con amore e passione:
La mattina della domenica mi alzavo alle cinque e impastavo le torte con la farina e le uova acquistate alla borsa nera. Dovevo farlo a quell’ora perché il gas aveva pochissima forza e dopo le sette non riscaldava più abbastanza il forno. […] Emersi da un’avventura così tragica con tanti spaventi ancora sottopelle e le lancinanti brutalità della guerra tuttora vicine e presenti, ci sorprendevamo a ridere spesso per rifarci degli anni angosciati; a volte avvertivamo in noi come un prolungamento delle risate innocenti e nervose con le quali avevamo cercato di renderci più tollerabili i giorni del pericolo quando stavamo nascosti in case disabitate e ad ogni colpo bussato alla porta rispondeva un tonfo nel petto.
La necessità di stare insieme diviene l’antidoto al malessere; riunirsi equivale a medicarsi, «perché allora si sentì quanto giovasse anche a noi scrittori non restare isolati». Nell’anno 1944, sotto la direzione e l’ospitalità dei coniugi Bellonci, una cerchia di amici e di intellettuali si ritaglia il proprio “hortus conclusus”, cercando di non farsi inglobare da quell’epoca martoriata; vogliono credere che ci sia qualcosa di nuovo da intraprendere e, poco per volta, riescono a ricostruire partendo dall’idea di radunarsi come per una festa. Era – invece – un ritrovarsi, teso a ritrovare se stessi. Maria Bellonci annotava su un quadernino «color marrone dorato» date e avvenimenti storici, frammenti di pensieri e riflessioni, conversazioni e nomi dei partecipanti:
Così la domenica le stanze si aprivano con una gaiezza confortevole che sembrava naturale, e pochi si accorgevano con quali sforzi si giungesse ad ottenerla. […] Alla prima riunione, l’11 giugno [1944], c’erano: Bontempelli, Piovene, Bernari, Paola Masino con la sorella Valeria, Petroni, Monelli, Savinio, Gorresio, Palma Bucarelli, Pietrangeli, Gino ed Elly Tomaiuoli. Presto i pochi diventarono molti. […] Ascoltavamo, facendo circolo, la storia appassionante dell’Italia ritrovata.
Arrivato il 1946, confluirono in casa Bellonci numerosi scrittori, giornalisti, critici, tutti mossi dalla curiosità e il bisogno di ritrovarsi tra uomini di cultura. La lista degli “Amici della domenica” comprendeva ormai 155 persone. Avvenne che nel marzo di quell’anno Gianna Manzini e Alberto Moravia vinsero un piccolo premio letterario istituito dal Corriere lombardo:
Uno spirito festoso e immune da ogni inibizione critica mi spinse a mettere un fiore nei libri premiati. Ma io già da tempo cominciavo a pensare ad un nostro premio, un premio che nessuno ancora avesse immaginato. L’idea di una giuria vasta e democratica che comprendesse tutti i nostri amici mi sembrava tornar bene per ogni verso; dava significato espressivo anche al gruppo che avrebbe manifestato così le sue opinioni e tendenze, anzi le avrebbe rivelate per mezzo di paragoni e discussioni: confermava il nuovo acquisto della democrazia, ed era intonato al nostro stato d’animo, quello stato d’animo che mi faceva alzare alle cinque del mattino per impastare le torte senza che mi pesasse la fatica domenicale.
Arrivò – nell’ormai ambito salotto romano dei Bellonci – Guido Alberti, figlio di industriali e industriale egli stesso, interessato e appassionato al mondo della cultura; nel gennaio 1947 Goffredo confidò a Guido Alberti l’idea di Maria di fondare un Premio Letterario:
Lunedì 27 gennaio alle undici del mattino Guido Alberti mi telefonò che il premio era stato deciso da lui e dai suoi parenti; la somma che gli Alberti offrivano era di duecentomila lire, per quei tempi più che dignitosa. E mentre noi tre insieme preparavamo il congegno delle votazioni, sulla lista del mio libretto del 1946 aggiungevo i nuovi del 1947 e mettevo insieme la prima lista dei votanti.
Era nato il Premio Strega, chiamato così per omaggiare – e ringraziare – la famiglia Alberti, proprietaria della Strega Alberti di Benevento, produttrice dei torroni e del liquore Strega. Il premio in denaro divenne più cospicuo negli anni e nel progredire delle edizioni lo Strega divenne un premio estremamente importante che riuscì a ottenere un ampio consenso di pubblico, l’attenzione della stampa e della televisione, favoreggiando così una straordinaria esplosione editoriale. Certo non mancarono le polemiche, gli screzi, gli scandali, i momenti di difficoltà, la fatica: è tutto narrato minuziosamente da Maria Bellonci in questo resoconto poetico di un’epoca singolare, quella che va dal 1944 al 1977. Un documento prezioso, una narrazione doverosa e onesta sulla nascita di un premio – lo Strega – fondato su sentimenti vigorosamente puri e d’amore per la condivisione e la bellezza. Le parole di Maria Bellonci sono un balsamo per l’anima. La storia, narrata da lei, acquisisce ancora più fascino, ancora più ardore. Le riflessioni sulla scrittura – e sull’arte in generale – sul fare degli scrittori sono piccole e rare perle impreziosite dal contesto storico, dai protagonisti del tempo e dalla storia di una resilienza intellettuale e psicologica incredibilmente umana e d’ispirazione.

Giorgia Pellorca
Vive nell'agro pontino e quando può si rifugia in collina, a Cori, tra scorci mozzafiato, buon vino e resti storici. Ha studiato Lettere moderne per poi specializzarsi in Filologia. Curiosità ed empatia si fondono nell'esercizio dell'insegnamento. Organizza eventi quali reading e presentazioni di libri.