ArteIn EvidenzaLa “Statua equestre bronzea di Pietro il Grande”: modello di glorificazione politica e filosofica

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Tra le figure che maggiormente segnarono la storia e la politica europea del XVIII secolo, Caterina II di Russia (1729-1796) svolse un ruolo di primaria importanza. Nata principessa Sofia di Anhalt-Zerbst e destinata in sposa ancora adolescente al futuro zar Pietro III, Caterina riuscì a imporsi come personalità di assoluto rilievo, meritandosi l’appellativo di “la Grande” e governando il Paese per tutta la seconda metà del Settecento. Donna colta, astuta e ambiziosa, fu al centro di circoli intellettuali e promotrice di fondamentali riforme economiche, sociali ed educative, con l’obiettivo di modernizzare la Russia. Nonostante l’attenzione allo sviluppo del proprio impero, Caterina II dovette anche confrontarsi con diverse sommosse e ribellioni, che culminarono nel tentativo di colpo di stato conosciuto come Rivolta di Pugačëv. Da un punto di vista più erudito, invece, assunse decisamente il ruolo di “filosofo”, aderendo completamente allo spirito illuminista che caratterizzava il Settecento.

Fedor Rokotov, Ritratto di Caterina II, 1763, Galleria Tretyakov, Mosca

Il Secolo dei Lumi vide crescere sempre più una totale – e cieca – fiducia nei confronti del progresso e della scienza. Il sapere cominciava a essere inteso come mezzo attraverso il quale operare un arricchimento della società; da qui il grande impulso riformistico nel campo dell’istruzione. I sovrani europei, pur mantenendo essenzialmente il potere assoluto, si impegnarono nella proclamazione di numerose riforme calate “dall’alto” (e quindi imposte), con l’obiettivo di guidare i rispettivi Paesi sotto l’egida della filosofia e della scienza. Caterina la Grande si immedesimava totalmente in questa nuova mentalità, inserendosi perfettamente all’interno dei circoli intellettuali più influenti, circostanza che le permise di intraprendere una vasta corrispondenza epistolare con diversi intellettuali dell’epoca, tra cui Voltaire. Possiamo considerare la zarina come una mecenate delle arti e della letteratura a tutti gli effetti, essendo lei stessa autrice di vari trattati e di testi anche di ordine filosofico e non politico.

Tra gli artisti con i quali entrò in contatto, un’attenzione particolare è da accordare allo scultore francese Étienne Maurice Falconet (1716-1791), formatosi presso lo scultore Jean-Baptiste Lemoyne e l’Accademia Reale di Pittura e Scultura di Parigi, fondata nel 1648. Esattamente come Caterina, Falconet si identificava nell’immagine dell’artista del Settecento illuminista. Antiautoritario e contrario alla tradizione, prediligeva il metodo di studio più empirico legato all’osservazione anche per quanto riguardava la scultura. In questo senso, le sculture di Falconet erano pensate nei minimi dettagli per poter essere viste con una vera visione “a tutto tondo”. Egli sosteneva, difatti, che la visione dell’occhio umano non scaturisce da un’unica direzione. Effettivamente, guardando un soggetto, lo percepiamo attraverso diversi punti di vista e di conseguenza le figure devono essere studiate nei minimi dettagli anche in punti che, magari, possono sembrare secondari in considerazione della collocazione finale dell’opera.

Étienne Maurice Falconet, Cupido minacciante, 1758

Un esempio di quanto detto è fornito dal Cupido minacciante e dal Cristo in agonia.

Étienne Maurice Falconet, Cristo in agonia, 1753-1766

Riguardo la riflessione attorno al punto di vista migliore per osservare una scultura, Falconet si discosta notevolmente da Gian Lorenzo Bernini, il quale, invece, come maestro del Barocco eseguiva le proprie opere con la mentalità del regista. Era Bernini stesso a scegliere in che modo e dove collocare le proprie opere, dando loro il punto di vista migliore dal quale essere osservate.

Gian Lorenzo Bernini, David, 1623-1624, Galleria Borghese, Roma. Il David è studiato per essere osservato da un determinato punto di vista. Bernini, in quanto “regista” del Barocco, ha deciso di giocare con la percezione dello spettatore in modo che sia chi osserva la scultura a “completarla”, ponendosi di fronte ad essa, sfidando Davide e interpretando il ruolo di Golia

È in questo contesto che, nel 1766, Caterina II decise di chiamare Falconet alla corte di San Pietroburgo per affidargli un’importante commissione. La zarina era venuta a conoscenza dell’opera dello scultore francese grazie alla propria corrispondenza con Denis Diderot, il quale era in contatto con Falconet. Lo scultore era stato incaricato di realizzare un’imponente e gloriosa scultura equestre in bronzo dello zar Pietro il Grande.

Étienne Maurice Falconet, Statua equestre bronzea di Pietro il Grande, 1766, San Pietroburgo

È importante notare, innanzitutto, che Caterina chiese allo scultore in maniera specifica la realizzazione di una scultura equestre. Si tratta di un riferimento diretto alla classicità, in particolare all’antichità romana, in quanto erano gli imperatori a essere raffigurati in questo modo. L’iconografia è, perciò, un nesso fondamentale con un’idea di regalità e potenza assoluta, ma anche di devozione nei confronti di un modello antico che ancora veniva riproposto nella Russia imperiale. Non a caso, un discorso comune che avvolgeva la storia dell’impero russo era il fatto di presentarsi come “terza Roma”, essendo Costantinopoli la “seconda Roma”, recuperando in questo modo un’eredità antica come forma di legittimazione del potere imperiale. Un evidente confronto, già esplicitato da Diderot nel suo scambio di lettere con Falconet, è la statua equestre di Marco Aurelio nel Campidoglio, a Roma.

Statua equestre in bronzo dorato di Marco Aurelio, II secolo d.C. Nella Piazza del Campidoglio a Roma è possibile osservare una copia dell’originale, che è oggi conservata ai Musei Capitolini

Nel nostro caso, notiamo che Pietro I è raffigurato in modo orgoglioso in sella al proprio cavallo mentre tende la mano destra in un gesto di benedizione. L’opera risulta essere ancora più imponente per il fatto che il cavallo posa su una roccia di notevoli dimensioni, sulla quale sono apportati la data di esecuzione, la committenza e il nome di Pietro. L’idea per questa concezione più scenografica della scultura fu suggerita a Falconet direttamente da Diderot, il quale, inoltre, proponeva di sviluppare maggiormente il tema dell’allegoria nel gruppo scultoreo aggiungendo personificazioni e figure mitologiche. Falconet, invece, decise di optare per una struttura più semplice, mantenendo la roccia come supporto ed elemento scenografico. In realtà, questa tipologia di statua equestre che appoggia su un elemento naturale non è una novità introdotta dallo scultore francese. Già Bernini aveva ipotizzato uno schema simile per una statua equestre di Luigi XIV, che poi non fu realizzata.

In ogni caso, l’opera realizzata da Falconet dimostra la volontà di glorificare la figura di Pietro I in modo semplice, essenziale, ma grandioso allo stesso tempo. È il frutto di un procedimento, ancora una volta, quasi empirico e dedito a un’osservazione di stampo illuminista. Falconet gioca con la geometria e con la proporzione, costituisce un gruppo in sé organico che è modulato attraverso l’importanza data alla spinta diagonale verso l’alto, concretizzando la volontà di un Paese di spingersi oltre e di svilupparsi sotto il governo illuminato di Caterina II. Non sono necessarie allegorie o personaggi supplementari a evidenziare la grandezza di Pietro che, maestoso, è modello di una progressione continua per i suoi successori al trono russo.

Ana Maria Sanfilippo

Classe ’96, risiede in Friuli-Venezia Giulia. Laureata presso l’Università degli Studi di Udine in Conservazione dei Beni Culturali, Studi italo-francesi, si sta specializzando in Arts, Museology and Curatorship a Bologna, dove sta frequentando l’ultimo anno della magistrale. Ha partecipato all’organizzazione della mostra digitale “Trasmissione”, di cui ha co-curato anche il catalogo. Ama la letteratura, l’arte e lo studio delle lingue straniere.