Lo spazio è un’entità indefinita e illimitata entro cui si collocano materie e corpi che si determinano per estensione, qualità, posizione, relazioni, mentre in un’indagine semiotica esso, nei suoi diversi e molteplici significati, corrisponde a un oggetto costruito, organizzato su direzionalità, articolazioni, delimitazioni e stratificazioni, dilatazioni e condensazioni.
La mostra <=/SPAC3 presso Spazio In Situ, a cura di Porter Ducrist, interroga lo spazio nella sua estensione materiale e immateriale, lo percorre come dinamico dispositivo in diatriba, dialogo e affinità con la dimensione digitale, intesa quale superfetazione del reale, ordinamento e costrutto comunicativo-relazionale, in perenne legame osmotico con il dato di realtà.
Tra mondo oggettuale e spazialità digitali, il luogo espositivo è ribaltato nella sua dimensione tangibile, esteso e dischiuso nei suoi confini materiali, spostando e ridefinendo continuamente ambiente interno e volume costruito, interazioni e leggibilità, simbologie, dati emotivi e sensoriali. L’arte stessa, la sua legittimità e finalità, viene indagata alla luce del processo di digitalizzazione radicalizzato ed esteso, specie nell’ultimo periodo, nel sistema divulgativo e fruitivo.
Gli effetti di una trasformazione sequenziale binaria sono ricondotti ad una esplorazione, scomposizione e descrizione dello spazio non più contenitore espositivo o supporto su cui rappresentare i campi della realtà fisica, ma linguaggio esso stesso, principio organizzatore letto nel suo dato uniforme, attraverso enunciati oggettuali – le opere d’arte – differenti, ma affini nelle loro correlazioni semantiche immediatamente evidenti.
Rovesciando possibilità sequenziali e progressive nella lettura iconica dello spazio, gli artisti Christophe Constantin, Roberta Folliero, Sveva Angeletti, Chiara Fantaccione, Marco De Rosa, Andrea Frosolini, Francesca Cornacchini, Guendalina Urbani, Alessandra Cecchini, Federica di Pietrantonio, stabiliscono relazioni dirette con i fruitori che nel percorso esplorativo dell’ambiente ricercano unità sintagmatiche, affermate e destrutturate dallo statuto autonomo di ogni opera.

Nell’opera Non-finito di Christophe Constantin il vocabolario suprematista di Malevič e l’oggettività della forma geometrica nella sua determinazione spaziale, isolata e stabilizzata, viene interrogata in una scomposizione del sistema di rappresentazione, nell’essenzialità di un pannello a LED prelevato dall’impianto d’illuminazione e posto a terra, passando da fonte di luce zenitale a intensità volumetrica pavimentale. Elemento costitutivo del luogo in cui è esposto, il quadrato luminoso è delimitato da una unità perimetrica quadrangolare, contenente gli strumenti del lavoro di smontaggio, che è fondale e apertura topografica tetradimensionale.

Nell’opera Un po’ d’aria fresca di Roberta Folliero, l’interazione con l’esterno è rivissuta nel moto simulato, leggero e fluttuante di una tenda, mossa da un ventilatore. L’interconnessione è ricreata nell’azione fittizia che stabilisce una consequenzialità di causa-effetto reiterata nell’apparenza di un accadere che dimora nello spazio ma non fluisce nel tempo dell’esistere.

Nell’esplorazione uditiva Trecentosessanta metri cubi circa di Sveva Angeletti è lo spazio stesso, in una lettura introspettiva, emozionale e sensoriale, che procede alla narrazione del sé come pensiero, forma, unità e singole componenti, materia e astrazione, contenitore e oggetto.

In Every time I look at you I fall in love di Chiara Fantaccione due webcam rispondono al movimento dell’osservatore con un inseguimento oculare insistente, un invaghimento che reagisce a un input in entrata che proviene dall’esterno, ma che ha durata temporale limitata e termina nel costante ritorno alla contemplazione reciproca dei dispositivi ottici.

In Sirena di Marco De Rosa l’osservatore interagisce e interviene direttamente con il luogo, attivando uno stimolo uditivo ossessivo risuonante nell’ambiente e generato dall’interruzione del confine di entrata e uscita dello spazio. Un’interrelazione reciproca tra pubblico e unità dimensionale che, nella sua esistenza a priori rispetto all’individuo, ribatte in un’azione e reazione fisica diretta che stabilisce la realtà della connessione.

In KINDA SINKIN’ but still wet di Andrea Frosolini, la struttura reticolare di supporto alla costruzione dell’immagine – luogo di creazione e riproduzione – diviene elemento scultoreo installativo, immagine esso stesso che conserva l’identità idraulica da cui deriva e si riflette nell’acqua originata dal suo stesso impianto costruttivo. Elemento giocoso affiancato all’immagine, un pallone gonfiabile è contraltare visivo che esalta e al contempo confonde lo statuto iconico del reticolo.

In Ruins of me di Francesca Cornacchini, nella rappresentazione di elementi architettonici essenziali, scomposti, ma presenti nella corrispondenza delle parti con il tutto, le possibilità spaziali si muovono tra contingenza e trascendenza semiologica, nella storia e nelle valenze simboliche, nella coesistenza tra architetture e scritture urbane.

Nell’installazione Bicchiere di Guendalina Urbani, un oggetto della quotidianità viene reinterpretato nella manifestazione di un pericolo imminente, che si ripete incessantemente senza verificarsi, nell’accettazione di un’instabilità costante che riduce il senso del pericolo, modificando la sfera percettiva.

Alessandra Cecchini in Contenere il cielo #3 delimita in una cornice oggettivabile e concreta l’incontenibilità dell’empireo sorvolato da uccelli in formazione da cui leggere auspici e significati multipli, reiterati all’infinito nell’attimo contemplativo dell’astante.

Federica di Pietrantonio in I’m all poor drawings and bad decisions, tenderly basic interroga il mondo del Graphics Interchange Format nella sua natura essenziale di elementi comunicativo-grafici, formati di interscambio digitale dalla struttura riconoscibile, formati immagine definiti da caratteri e valori stabiliti che si collocano al di là dello spazio tangibile eppure caratterizzano l’interazione relazionale.
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Nicoletta Provenzano
Nata a Roma, storica dell’arte e curatrice. Affascinata dalle ricerche multidisciplinari e dal dialogo creativo con gli artisti, ha scritto e curato cataloghi e mostre, in collaborazione con professionisti del settore nell’ambito dell’arte contemporanea, del connubio arte-impresa e arte-scienza.